AFRICA

Sudan: non si torna indietro, via i militari dal governo

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
31 ottobre 2021

I sudanesi non demordono. Anche ieri l’adesione alle manifestazioni che si sono tenute in molte città sudanesi è stata massiccia, decine di migliaia di persone si sono riversate sulle strade per esprimere il loro disappunto sulla presa del potere dei militari.

A Omdurman, città gemella di Khartoum, situata sulla sponda occidentale del Nilo, sono morte tre persone. Le forze di sicurezza e i paramilitari di Rapid Support Forces, il cui capo è Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, vicepresidente del Consiglio sovrano, nonché uno degli ex leader dei famigerati janjaweed, non hanno esitato a sparare con pallottole vere sulla folla.

Sudan: manifestazioni contro i militari in tutto il Paese

Mentre a Khartoum militari e agenti di polizia hanno usato gas lacrimogeno e hanno sparato in aria per disperdere gli assembramenti, il comitato centrale dei medici sudanesi ha confermato la morte di tre persone, 100 altre sono state ferite. La polizia ha negato di aver sparato sui dimostranti. Le morti di oggi si aggiungono alle altre 11 degli scorsi giorni.

Le strade e le piazza hanno lanciato un messaggio chiaro al generale Burhan: impossibile tronare indietro, i sudanesi vogliono i civili al governo. La gente è stanca dopo la lunga dittatura di Omar al-Bashir, deposto nel aprile 2019, dopo 30 anni di dittatura.

L’oppressione esercitata ieri e i giorni scorsi non spaventa sudanesi che non hanno più paura. Lo hanno dimostrato in questi giorni e hanno promesso di continuare la lotta con la disobbedienza civile. Le proteste sono proseguite anche ieri sera, malgrado il coprifuoco.

Tutti avevano posto le loro speranze nelle libere elezioni, messe in agenda per il 2023, ma la crisi economica che sta attraversando il Paese, ha messo in ginocchio la popolazione. I sudanesi sono amareggiati, stanchi di tanti sacrifici, come studiare a lume di candela perché manca la corrente elettrica, alzarsi all’alba per fare la fila davanti al panificio per accaparrarsi il pane, dormire alla stazione di servizio per poter fare il pieno di benzina alla macchina, perché anche il carburante scarseggia in tutta la nazione. Impossibile andare a trovare amici o parenti che abitano in altri quartiere, i biglietti dei bus sono più che raddoppiati.

Lunedì scorso leader del Consiglio sovrano, Abdel Fattah al-Burhan, ha dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, lo scioglimento del governo di transizione e dello stesso Consiglio. Il primo ministro Abdallah Hamdok è stato arrestato insieme a altri membri del suo gabinetto e a diversi alti funzionari.

Hamdok, dopo le forti pressioni della comunità internazionale, è stato riportato a casa sua insieme alla moglie, ma è sempre sotto stretta sorveglianza.

Nel frattempo gli Stati Uniti hanno sospeso il loro pacchetto di aiuti di 700 milioni di dollari destinati al governo al Sudan. Altrettanto ha fatto la Banca Mondiale. Il presidente dell’istituzione, David Malpass, ha detto di aver bloccato tutti i versamenti e di aver cessato di elaborare nuove operazioni. Ha infine aggiunto di essere molto preoccupato per l’impatto drammatico del golpe sulla ripresa, lo sviluppo sociale ed economico del Paese.

L’Unione Africana ha interrotto tutte le attività del Sudan in seno all’organizzazione, finchè il governo non sarà rimesso ai civili. Anche l’Unione Europea ha minacciato di tagliare i fondi a Khartoum.

Giovedì 28 ottobre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha redatto un documento siglato da tutti i membri. L’istituzione esige che venga ristabilito un governo di transizione guidato da civili e chiede che si apra immediatamente un dialogo tra le parti per risolvere quanto prima la grave crisi che si è aperta dopo il colpo di Stato di lunedì scorso.

Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, capo del Consiglio militare di transizione

Dopo le forti pressioni esercitate dalla comunità internazionale nonché dalle proteste dei sudanesi, il golpista Burhan ha proposto a Hamdok di formare il governo. Già prima del putsch militare, il Consiglio sovrano aveva chiesto insistentemente al primo ministro di formare un nuovo gabinetto, pretesa alla quale Hamdok si era opposto.

Attualmente il generale sta tastando il terreno, ha attivato consultazioni volte a trovare un nuovo primo ministro. La sua ricerca non sembra avere grande successo, nessuno vuole addossarsi la collera della gente scesa in strada.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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