25 ottobre 2021
Stamattina il leader del Consiglio sovrano, Abdel Fattah al-Burhan, ha dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale e lo scioglimento del governo di transizione e dello stesso Consiglio.
Alle prime ore dell’alba un gruppo di militari ha arrestato il primo ministro sudanese Abdallah Hamdok e diversi componenti del governo civile, tra questi i ministri dell’Industria Ibrahim al-Sheikh e dell’Informazione Hamza Baloul, nonchè Mohammed al-Fiky Suliman, membro del Consiglio sovrano, Faisal Mohammed Saleh, un portavoce di Hamdok e Ayman Khalid, governatore di Khartoum.
Hamdok sarebbe stato trasferito in un luogo segreto, dopo essersi rifiutato di firmare una dichiarazione a sostegno di un colpo di stato militare in corso. E, secondo quanto riportato dal ministero delle Comunicazioni, il primo ministro avrebbe chiesto alla popolazione di resistere e di difendere in modo pacifico la rivoluzione.
Internet e le comunicazioni telefoniche sono stati interrotti, anche l’aeroporto è chiuso e i ponti di Khartoum sono stati bloccati. Al Arabiya ha fatto sapere che le maggiori compagnie aeree avrebbero sospesi i voli per Khartoum. Mentre il ministero delle Comunicazioni ha detto che i militari avrebbero anche occupato l’edificio dell’emittente di Stato a Omdurman – città gemella di Khartoum, situata sulla sponda occidentale del Nilo – e vietato al personale di uscire.
Migliaia di persone, in difesa della democrazia, si sono riversate nelle strade di Khartoum e Omdurman.
In base alle poche notizie frammentarie che giungono malgrado l’interruzione delle comunicazioni, pare che i militari abbiano iniziato a sparare sulla folla.
Le frizioni tra il Consiglio sovrano e il governo civile erano tangibili da settimane, specie dopo il tentato putsch del 21 settembre scorso ad opera di militari, nostalgici di al-Bashir, l’ex presidente deposto nell’aprile 2019 e condannato a due anni di galera nel dicembre 2019. Ora si mormora che sia stato rilasciato, forse per buona condotta, ma la notizia non è stata confermata.
Sulla testa dell’ex dittatore al-Bashir pende un mandato d’arresto internazionale, emesso nel 2009 dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini di guerra commessi in Darfur.
Nell’agosto scorso il governo di Khartoum aveva approvato l’adesione allo statuto di Roma del 1998 che ha istituito la creazione della CPI, ma finora al-Bashir non è stato estradato.
Da giorni si susseguono marce di protesta in tutto il Paese. Il 16 ottobre è stata organizzata una manifestazione contro il governo civile, capeggiata da fazione dissidente di Alliance Forces Freedom and Change (FFC) – la coalizione civile, che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione. La frangia estremista è stata fondata da due ex capi ribelli, Minnie Minnawi, ex leader del darfuriano Sudanese Liberation Army e il ministro delle Finanze e leader del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (JEM), Gibril Ibrahim. Nell’agosto 2020 il raggruppamento politico JEM aveva firmato un accordo di pace con il governo di transizione.
E sembra che Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, vicepresidente del Consiglio sovrano, nonchè a capo delle Rapid Support Forces (RSF) e uno degli ex leader dei famigerati janjaweed (milizie paramilitari sudanesi diventate famose per le atrocità commesse in Darfur: i diavoli a cavallo bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi n.d.r.), sia uno dei sostenitori della fazione dissidente di FFC.
Il 21 ottobre scorso la gente ha manifestato in tutto il Paese in favore del governo civile. L’adesione è stata massiccia. Allora i partecipanti avevano dichiarato di essere scesi nelle strade, perchè “La transizione è in pericolo”. Infatti, nella capitale Khartoum, qualche rione più in là, un folto gruppo di persone, molti legati ai gruppi islamici, era radunato da sabato davanti al palazzo presidenziale pretendendo le dimissioni di Hamdok con l’esplicita richiesta di un governo militare.
Africa ExPress
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