Cornelia I. Toelgyes
23 ottobre 202
E sono 5 i raid dell’aeronautica militare etiopica sul Tigray in una settimana. Ieri una portavoce dell’ufficio del primo ministro e Premio Nobel per la Pace 2019, ha puntualizzato che venerdì è stato colpito un centro di addestramento del Tigray People’s Liberation Front (TPLF), ma organizzazioni umanitarie e il TPLF sostengono che le bombe lanciate da Addis Ababa hanno centrato un edificio universitario.
L’incursione aerea di lunedì su Makallé ha ucciso un bimbo e ferito diverse persone. Mercoledì è stata bombardata sia la capitale del Tigray, sia la città di Agbe, che dista un’ottantina di chilometri dal capoluogo.
“Il governo di Addis Ababa è stato informato che un aereo di UN Humanitarian Air Services (UNHAS) doveva alzarsi in volo per Makallé ben prima della sua partenza. Il velivolo è stato costretto a invertire la rotta poco prima dell’atterraggio per la situazione sul terreno”, sono le gravi affermazioni di Gemma Connell, a capo di OCHA (acronimo inglese per Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) per l’Africa dell’est.
Anche Martin Griffiths, sotto-segretario generale di OCHA ritiene molto grave che il suo staff in Etiopia non abbia ricevuto nessun preavviso da parte delle autorità di Addis Ababa sui bombardamenti in atto a Makallè. “Sono davvero preoccupato per la sicurezza dei civili a causa dei continui raid sulla città. E’ sempre più difficile assistere la popolazione nel Tigray. Sono altresì turbato per l’espandersi delle ostilità nell’Amhara e Afar”, ha sottolineato Griffiths. E ha infine aggiunto che tutte le parti coinvolte nel conflitto devono proteggere la popolazione e le infrastrutture civili, secondo le leggi umanitarie internazionali.
Il volo bisettimanale di UNHAS per Makallé è stato dunque sospeso. Doveva portare 11 operatori umanitari nella zona, per assistere 7 milioni di persone nel nord del Paese, 5 milioni nel solo in Tigray.
Le frizioni tra il governo di Addis Ababa e le organizzazioni umanitarie sono ormai note, il fatto di ieri sembra quasi essere un’ulteriore tattica di intimidazione nei loro confronti.
Intanto l’ONU ha fatto sapere che diversi gruppi umanitari hanno dovuto interrompere la distribuzione di generi alimentari per mancanza di carburante.
Si intensificano anche gli scontri tra le forze del TDF (Tigray Defence Forces) e le truppe etiopiche e gruppi armati dell’Amhara, alleati di Addis Ababa. Molte persone stanno fuggendo da Dessie, la maggiore città dell’Amhara. Gli sfollati all’interno della regione hanno già superato il mezzo milione, ha fatto sapere ai reporter di Reuters, Atalel Abuhay, portavoce di National Disaster Risk Management Commission.
Mentre un operatore locale del coordinanemto per gli sfollati a Dessie ha detto che attualmente stanno ospitando 900 persone. “Non abbiamo più cibo. Le riserve sono terminate tre giorni fa”.
Ciò che doveva essere una “semplice” incursione militare iniziata il 4 novembre 2020 da parte del governo di Addis Ababa per mettere a tacere il TPLF, si è trasformato in un vero e proprio conflitto interno, in una guerra civile, che in poco meno di un anno ha causato la morte di migliaia di persone, la fuga di oltre due milioni che hanno dovuto lasciare le proprie case e ha ridotto alla fame estrema 400.000 mila, forse anche più.
Nel Tigray le comunicazioni e internet sono ancora interrotte, altrettanto in molte parti dell’Amhara e dunque è difficile verificare in modo imparziale ciò che sta realmente accadendo nelle regioni del nord dell’Etiopia.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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