Cornelia I. Toelgyes
17 ottobre 2021
La fame ha nuovamente portato i sudanesi nelle piazze e nelle strade. Le scuole hanno ridotto le lezioni a 4 ore al giorno, perchè manca il pane.
Ieri centinaia di persone si sono riversate sulle strade di Khartoum, hanno protestato davanti al palazzo presidenziale, armati di cartelloni e striscioni con scritte tipo: “Il popolo è paziente, ma ha fame”, “Un solo popolo, un solo esercito”. In molti hanno chiesto di rovesciare l’attuale governo transitorio.
La tensione è alle stelle dopo il fallito colpo di Stato dello scorso settembre. Tutti i militari coinvolti nel fallito putsch erano legati a Omar al Bashir, ex-presidente del Sudan, deposto dalle forze armate nel 2019.
Anche durante le proteste di questi giorni non mancano i sostenitori del vecchio dittatore al-Bashir, non nascondono di appartenere al National Congress Party, partito islamista, legato ai fratelli musulmani. I nostalgici del tiranno affermano che in questi anni il Paese è regredito in ogni ambito, a partire da sicurezza e sanità. Vogliono i militari al governo.
Già giovedì scorso una fazione dissidente di Alleanza Forces Freedom and Change (FFC) – la coalizione civile, che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione – aveva indetto la marcia di protesta di ieri. I manifestanti chiedono un governo militare, ritengono che le attuali autorità, guidate dal primo ministro Abdallah Hamdok, abbiano fallito nei loro propositi.
A capo delle proteste ci sono due ex capi ribelli, Minnie Minnawi, ex leader di Sudanese Liberation Army e il ministro delle Finanze e leader del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (JEM), Gibril Ibrahim. Nell’agosto 2020 il raggruppamento politico JEM aveva firmato un accordo di pace con il governo di transizione.
E c’è chi mormora che Mohammed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, vicepresidente del Consiglio sovrano, nonchè a capo delle Rapid Support Forces (RSF) e uno degli ex leader dei famigerati janjaweed (milizie paramilitari sudanesi diventate famose per le atrocità commesse in Darfur: i diavoli a cavallo bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi n.d.r.), abbia aperto il portafoglio per finanziare le trasferte verso la capitale di molti residenti nel Darfur, perchè partecipino alle manifestazioni contro il governo di Hamdok.
Pare che Hemetti sostenga la fazione dissidente FFC, istituita solo una settimana fa da Minnawi e Ibrahim, che, originari del Darfur, tentano di farsi portavoce delle popolazioni delle regioni più marginalizzate. Eppure Hemetti stesso aveva negoziati gli accordi di Juba con i vari gruppi ribelli del Darfur nel 2020.
Il comandante delle RSF, che, secondo gli esperti conta oltre 40 mila uomini, è ricchissimo e potente; è alla testa di un vero e proprio impero nel settore minerario e non solo. Eppure la sua posizione rischia di perdere di autorevolezza, in quanto diversi attori, tra questi anche il presidente del Consiglio sovrano, vorrebbero integrare il miliziani di RSF nell’esercito regolare e anche Washington fa pressioni in tal senso. E non per ultimo, Facebook ha sospeso proprio in questi giorni almeno 600 account e pagine legati alla tanto discussa forza paramilitare.
I manifestanti non sono stati ostacolati dalle forze dell’ordine e/o di sicurezza. I dimostranti, arrivati da ogni parte del Paese, hanno chiesto al presidente del Consiglio sovrano, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, pane e di proteggere il popolo.
Durante la notte gran parte dei partecipanti alla protesta hanno organizzato un sit-in davanti al palazzo presidenziale. Sono fermi e decisi. “Non lasceremo la postazione finchè Hamdok resterà in carica”, hanno detto.
Giovedì scorso il presidente del Consiglio militare di transizione aveva chiesto a Hamdok di formare un nuovo governo. Il primo ministro ha opposto un deciso rifiuto, ricordando ai militari che è stato scelto e designato dall’ Alleanza Freedom and Change per traghettare il cambiamento verso la democrazia. I suoi sostenitori hanno indetto una contro-manifestazione per giovedì prossimo.
Va ricordato che il 17 novembre la presidenza del Consiglio sovrano dovrebbe passare ai civili, secondo l’accordo politico di 22 punti siglato nel luglio 2019; il trattato determina la suddivisone dei poteri fino alle prossime elezioni. Sembra che i militari vogliano posporre la consegna del comando fino alla prossima estate.
La crisi politica sudanese dura da diversi mesi. Inizialmente si percepiva poco, è venuta alla luce durante il presunto tentato colpo di Stato. All’indomani dello sventato putsch, Abdel Fattah al-Burhan e gli altri membri militari del Consiglio sovrano hanno attaccato i civili, che a loro volta hanno accusato i militari di aver fomentato un golpe e di aver preso le distanze da una transizione democratica. In poche parole, tra le due parti è venuta meno la fiducia reciproca.
Cornelia I. Toelgyes
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