Cornelia I. Toelgyes
27 settembre 2021
La classe politica al potere in Sud Sudan continua attingere dalle casse dello Stato in modo assai disinvolto, mettendo sempre più a rischio il già fragile accordo di pace siglato a Khartoum nel 2018.
In base a un rapporto della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel Sud Sudan, dal 2018 a oggi sono stati sottratti beni e denaro pubblico per 73 milioni di dollari, 39 milioni spariti in soli due mesi.
Un vero e proprio saccheggio di beni pubblici e le cifre indicate sopra sono solo una minima parte di quanto è stato rubato. Per stessa ammissione di Salva Kiir, presidente del più giovane Stato della Terra, nel 2012 l’élite al potere ha sgraffignato niente meno che 4 miliardi di dollari.
La popolazione è allo stremo dalla feroce guerra civile che ha causato la morte di oltre 400 mila civili. La malversazione su vasta scala a danno delle casse dello Stato mette a rischio i diritti umani nonché la sicurezza della popolazione, ha specificato la Commissione nel suo rapporto. Gli esperti dell’ONU hanno chiesto l’attuazione di una politica economica seria e il rispetto dei termini dell’accordo del 2018.
Il rapporto accusa tutta l’élite – politici, responsabili del governo, membri delle forze armate, istituzione e banche internazionali – di adottare sistemi “molto informali” per attingere dalle entrate petrolifere, senza controllo indipendente o trasparenza.
E’ evidente che il denaro pubblico sottratto in modo illecito alimenta, inoltre, le rivalità tra i vari leader politici. Contrasti che favoriscono nuovi conflitti, violenze, compromettendo seriamente le prospettive di una pace durevole.
Secondo la commissione, la leadership sud sudanese sarebbe inoltre responsabile del massacro di 100 civili negli scontri tra comunità di etnia Azande e Balanda nella contea di Tambura, in Equatoria Occidentale (uno dei 10 stati del Sud Sudan).
Testimoni oculari hanno riportato che donne e ragazzine sarebbero state violentate e stuprate prima di essere brutalmente ammazzate. Ottantamila persone sono fuggite dai loro villaggi, centinaia di bambini sono stati separati dai loro genitori.
Davanti al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, Yasmin Sooka, presidente della Commissione ONU per il Sud Sudan, ha accusato senza giri di parole sia le forze armate sudanesi (SSPDF), sia gli irregolari del Sudan People’s Liberation Army/In Opposition (SPLA/IO) – forze controllate dal vice presidente Riek Machar durante la guerra civile – di aver armato le due etnie (Azande e Balanda). SSPDF e SPLA/IO non hanno rilasciato alcun commento finora.
Ma la Sooka non risparmia nemmeno i leader del Paese, che, secondo lei, sono co-responsabili di queste inaudite violenze. Si è arrivati a questo, perchè finora il Paese non è riuscito ancora a unificare gli eserciti, uno dei punti chiave dell’accordo di pace. Addestramenti congiunti sono stati interrotti nel marzo 2020 a causa della pandemia.
Azende e Balanda hanno convissuto pacificamente per secoli, ha suscitato dunque molto stupore perchè tra le due etnie si siano create improvvisamente rivalità, sfociate addirittura in violentissimi scontri. Il governatore dell’Equatoria Occidentale, Alfred Futuyo Karaba, ritiene che dietro tutta questa vicenda ci siano quattro politici di rilevanza nazionale, accuse ritenute false dal vice-governatore dello stato, Gaaniko Kennedy, come riporta l’Agenzia Fides in un suo articolo dell’agosto scorso. Intanto si apprende che Kiir ha formato un comitato d’inchiesta per far luce sulle cause scatenanti del conflitto in atto a Tambura: l’incarico è trovare una soluzione per porre termine alle violenze.
Cornelia I. Toelgyes
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