Cornelia I. Toelgyes
21 settembre 2021
Colpevole di terrorismo e condannato a 25 anni di galera. E’ la pesante sentenza emessa ieri mattina dal tribunale di Kigali dal giudice Béatrice Mukamurenzi contro Paul Rusesabagina. Il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo. In un fascicolo di 301 pagine sono stati formulati ben 9 capi di accusa collegati a atti di terrorismo.
Il processo contro Rusesabagina e altri 17 imputati è iniziato il 17 febbraio; da marzo, il 67enne e i suoi avvocati hanno boicottato le udienze, giacché ritenevano che il processo fosse puramente politico, reso possibile solamente grazie al rapimento del suo maggiore indiziato.
Infatti nell’agosto 2020 il condannato è stato portato nel Paese delle mille colline con uno stratagemma escogitato dai servizi di intelligence ruandesi, per stessa ammissione del governo di Kigali. Rusesabagina si era imbarcato a Dubai su un jet privato che avrebbe dovuto portarlo nel Burundi. Invece è atterrato all’aeroporto di Kigali, dove è stato arrestato immediatamente.
Rusebagina aveva lasciato il Ruanda nel 1996 e fino al suo arresto viveva tra gli Stati Uniti (dove gode di un permesso di residenza permanente) e il Belgio, dove ha ottenuto anche la cittadinanza.
Nell’inchiesta condotta dai ruandesi in collaborazione con le autorità giudiziarie del Belgio, viene indicato come il fondatore, nonchè principale finanziatore di Forces de Libération Nationales (FLN), braccio armato del Movimento Ruandese per il Cambiamento Democratico (MRCD). FLN è ritenuto responsabile di diversi attacchi terroristi che si sono consumati tra il 2018 e il 2019 nell’ovest del Paese, con l’uccisione di 9 persone. L’imputato ha negato tutte le accuse formulate contro di lui.
Il dossier del Pubblico ministero si basa anche su testimonianze rilasciate da altri imputati, membri di FNL, conversazioni e messaggistica, ma anche su una perquisizione effettuata nel suo domicilio in Belgio il 21 ottobre 2019. Allora sono stati requisiti due telefoni, un computer e diversi documenti.
Durante il processo sono state ascoltate anche molte testimonianze contraddittorie. Un portavoce di FNL ha infatti dichiarato che Rusesabagina non avrebbe mai dato istruzioni ai miliziani delle Forze di Liberazione Nazionale, mentre un altro imputato ha testimoniato che gli ordini provenivano dal principale accusato.
Il verdetto di oggi non ha sorpreso nessuno, era ampiamente prevedibile. Ne è convinta anche Michela Wrong – ex giornalista per l’Africa di diverse testate importanti come BBC, Reuters, Financial Times e autrice di libri sul continente – contattata oggi telefonicamente da Africa-ExPress.
La signora Wrong non ha voluto pronunciarsi sulla colpevolezza o innocenza di Rusesabagina, ma ha precisato: “È chiaro che non si è trattato di un processo equo. Al contrario, è stato quantomeno imbarazzante e vergognoso dover assistere a pubbliche udienze nel corso delle quali l’accusa violava ripetutamente le norme procedurali e processuali in maniera tanto evidente”.
Paul Kagame, invece, in un intervista rilasciata a maggio al quotidiano francese Le Monde, sostiene che Rusesabagina è il capo del gruppo MRCD, i cui membri sono per lo più hutu che avrebbero partecipato al genocidio del 1994 e da qualche anno si sono ritirati nell’est del Congo-K. Il presidente ha poi aggiunto che Rusesabagina è addirittura il leader di FNL. E, anche se i giornalisti e le ONG sostengono che è in prigione perché ha criticato il capo di Stato – ritiene sempre Kagame – ci sono prove schiaccianti contro di lui.
Rusesabagina è diventato celebre grazie al film Hotel Ruanda, nel quale la sua figura è stata magistralmente interpretata dall’attore americano Don Cheadle. La pellicola è arrivata sugli schermi nel 2004, ambientato in Ruanda all’epoca del genocidio che vede coinvolto hutu e tutsi. Il protagonista, ispirato appunto a Rusesabagina, un hutu, nel film ha dato ospitalità nel Hôtel des Mille Collines di Kigali, di cui era general manager, a 1.200 tutsi, salvandoli così dai sanguinari hutu. Il regista, Terry George, in Hotel Ruanda lo ha dipinto come un eroe.
Il film, ampiamente romanzato, ha dato comunque un’idea al grande pubblico del genocidio che si è consumato nel Paese. In cento giorni, da aprile a luglio 1994, il regime che allora governava il Paese, dominato da una dirigenza cattolica di etnia hutu, ha sterminato più o meno un milione di persone. Il Ruanda, tutto il Ruanda, era impazzito in preda a un odio razziale scatenato: famiglie che si spezzavano irrimediabilmente, mariti hutu che ammazzavano le mogli perché di origine tutsi, persone che abitavano nello stesso villaggio, pur avendo convissuto pacificamente per secoli con “gli altri”, incendiavano la capanna del vicino perché della tribù diversa.
Cornelia I. Toelgyes
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