18 settembre 2021
L’agosto 2001 è stato davvero un mese molto movimentato in Eritrea. I giornali uscivano prestissimo e in un batter d’occhio erano già esauriti.
I nuovi media nazionali indipendenti stavano infatti svolgendo un ruolo vitale nella discussione, pubblicando editoriali, commenti, interviste e lettere scambiate tra i membri del cosiddetto G15 (un gruppo di alti dirigenti del partito al potere, il “Fronte popolare per la democrazia e la giustizia”) e il presidente Isaias Afeworki, che da lì a poco sarebbe diventato il tiranno. I primi avevano pubblicato una lettera aperta in cui gli chiedevano riforme urgenti, tra cui l’applicazione della Costituzione e la legge elettorale.
Isaias Afeworki era stato nominato presidente nel 1993, in attesa di elezioni libere e democratiche, due anni dalla fine della guerra di liberazione.
All’inizio di settembre 2001 si percepisce che la situazione sta cambiando. E’ ormai evidente che il presidente è contrario alle riforme, tanto che evita in tutti modi un incontro diretto con i suoi ministri e membri del partito.
Dall’11 settembre in poi il mondo intero è concentrato sull’attacco alle Torri Gemelle, cosicché, approfittando della mancanza di attenzione sul resto del pianeta, all’alba del 18 settembre tutti i membri del G15 vengono arrestati con l’accusa di corruzione. Si salva solo Mesfin Agos, che in quel momento si trovava in Germania. Agos è un quadro dei ranghi militari e uno dei fondatori del partito. Durante la guerra contro l’Etiopia, Mesfin era stato il generale più amato dai guerriglieri, sempre in prima linea con le sue truppe.
In un primo. tempo l’accusa rivolta ai 15 viene indicata come “corruzione” ma poi successivamente diventa ben più pesante: “tradimento”, per aver intrattenuto rapporti con l’Etiopia, l’acerrimo nemico di sempre. Capo di accusa che nella sua gravità fa sorridere, visto che tutti gli imputati avevano combattuto e dedicato la loro vita al proprio Paese.
Infine l’incriminazione viene modificato una terza volta. Stavolta il membri del G15 sono accusati di aver intrattenuto relazioni particolari con gli Stati Uniti e l’Italia con l’intento di voler consegnare l’Eritrea agli stranieri.
Accuse fantasiose, costruite ad hoc con un preciso obiettivo: trasformare l’Eritrea in un girone dantesco. Nessuno degli arrestati ha mai visto un’aula di tribunale in questi vent’anni, gli imputati sono stati sbattuti in galera senza poter godere del diritto fondamentale di un equo processo. Colpevoli solo per aver chiesto l’applicazione della Costituzione, che da ormai oltre vent’anni giace chiusa nella cassaforte di Isaias. Il 18 settembre segna la fine della democrazia in Eritrea. Il combattente per la libertà della guerra di liberazione ha trasformato il Paese in una dittatura infernale.
Pochi giorni dopo l’arresto degli alti quadri politici, tra il 21 e il 23 settembre gli uomini del governo proseguono gli arresti dei giornalisti e editori che hanno pubblicato perplessità e denunce di G15. Tutti sono ancora oggi in attesa di processo, ovviamente mai voluti per evitare che durante i dibattimenti si arrivasse alla verità.
In questi anni, alcuni dei detenuti arbitrariamente sono morti. Non si conosce il numero preciso di chi sia ancora vivo. Nel 2018 è deceduto Haile Woldetensae, detto Duro, ministro degli Esteri fino al 2001, altri tre “dissidenti” del G15 lo hanno preceduto anni prima: Mohamoud Sherifo (ministro degli Interni), Ogboe Abraha (ministro degli Affari Sociali) e Seyoum Ogbamichael.
Dal giorno del loro arresto, i membri del gruppo G15, i giornalisti e gli editori in galera non hanno mai potuto avere contatti con l’esterno; vivono nel più completo isolamento, non hanno mai potuto parlare con i familiari, tanto meno ricevere visite. Di tanto in tanto arriva qualche notizia tramite i loro carcerieri che li hanno conosciuti in tutti questi lunghi, infiniti 20 anni.
Dopo i fatti dell’autunno 2001 pochi generali del EPLF erano rimasti fedeli al regime totalitario di Asmara. Tra questi Habtezion Hadgu, primo capo dell’aeronautica eritrea. Ma anche lui è stato arrestato nel 2003 senza motivo. Da allora non si hanno sue notizie.
Un altro generale, Sabhat Efrem nel 2001 aveva evitato la prigione solo perché aveva ritirato la firma dal documento del G15. Sebhat, è stato ministro dell’Energia e delle Miniere fino alla fine del 2018, incarico che ha dovuto lasciare dopo essere stato vittima di un terribile attentato.
Alla vigilia del 18 settembre 2018 è uscito di scena anche Berhane Abrehe, ex ministro dell’Economia. Poco prima Berhane aveva pubblicato un libro nel quale accusava la dittatura eritrea e la sollecitava ad avviare quanto prima un ordinamento democratico: è stato arrestato o condannato a morte e ucciso? Di lui non si sa più nulla.
Oggi vogliamo ricordare tutte le migliaia di prigionieri cacciati nelle putride galere eritree, detenuti senza processo, senza accuse formali, senza difesa, vittime di un regime fascista in un Paese diventato una prigione a cielo aperto.
Africa ExPress
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