Enzo Polverigiani
18 settembre 2021
Immaginiamo Andrea Angeli, da bambino, affannarsi a separare gli amichetti che si prendevano a pugni per la merendina. A volte le inclinazioni precoci si perdono nel tempo. Non è però il caso di questo esemplare prodotto della scuola di diplomazia maceratese, che negli anni, come un tecnico specializzato disponibile 24 ore su 24, anche la domenica, è accorso dovunque si accendevano fiammelle che diventavano incendi. Dal Cile del golpe all’Afghanistan, passando per inferni quali Timor Est o la Bosnia, Angeli ha indossato le più svariate casacche – Onu, Nato, Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa n.d.r.), Unione Europea, portavoce, consigliere politico – alla stregua, insomma, di un Ibrahimovic, un campione errante del “peacekeeping”, tirato per quelle casacche da ogni parte quando c’è odore di guai e il Male si fa vivo.
Sempre defilato nelle cerimonie ufficiali dietro una barriera di stellette o di fasce tricolori, è lui il funzionario civile che si muove boots in the ground, a mordere la polvere quando il gioco si fa duro.
Ha sempre sostenuto che gli scoop non si fanno con un diplomatico, ma con personaggi “che non hanno obblighi di lealtà e discrezione”; tuttavia il tipo è troppo esperto e abituato a bazzicare i giornalisti (e lui stesso è scrittore nei ritagli di tempo) per non saper infilare, tra le parole, una chiave di lettura utile a individuare la realtà dei fatti.
Angeli, come persona informata alla fonte e addentro ai retroscena spesso inconfessabili dei conflitti, si aspettava la caduta così rovinosa di Kabul e la fine così rapida della missione Nato?
“Con l’uscita di scena di un rilevante contingente internazionale, nuovi equilibri erano da mettere in conto, sebbene non così netti. Si ipotizzava, o quanto meno si sperava, in una qualche forma di diverse anime del sentire afghano. Adesso si è creata una situazione molto pericolosa. Preoccupa l’ipotesi di un riesplodere della guerra civile.”
Detto in chiaro, si sperava che il fragile governo “a guida americana” avrebbe retto, almeno un po’. Comunque, la missione ha avuto un costo altissimo in denaro e vite umane, tra alleati e soprattutto civili. Nella lunga serie di errori politici e militari di questi vent’anni, in questo mondo impazzito, quale il più nefasto? Improvvisazione, sottovalutazione, mistificazione, dissidi interni all’alleanza, guerra di primedonne a cinque stelle?
“Sebbene io abbia prestato servizio in alcune missioni Nato, vengo dalla scuola Onu Il capo delle missioni di pace al Palazzo di Vetro, sir Marrack Goulding, soleva ripetere: Longevity in peacekeeping is not so attractive, (una missione di pace è meglio che non duri troppo, ndr). La Nato in Afghanistan ha optato per una long-term presence, come ha spesso affermato riferendosi alla forza Isaf. Anche se tutti criticano a destra e a manca, va detto che non era comunque facile districarsi in una realtà così complessa, non dimentichiamocelo”.
Ha mai creduto negli eufemismi e nel lessico che di solito si usano per far digerire al popolo – in questo caso gli italiani – una guerra? Del tipo guerra umanitaria, asimmetrica, exit strategy, resolute support… Perchè in Afghanistan tutti, nessuno escluso, hanno sparato e ucciso.
“Sì, è vero, alcuni slogan roboanti le organizzazioni internazionali se li potevano anche risparmiare, o quantomeno tenerli sottotono, anche perché chi li escogita non è mai lo stesso che poi va boots on the ground sul campo, ma rimane nei quartier generali a Bruxelles o New York. Prendiamo il concetto di esportare la democrazia: tutti oggigiorno si dichiarano contrari, ma quanti lo erano quando la missione iniziò vent’anni fa?”
Quel concetto era arrogante e si è infranto inevitabilmente contro una missione impossibile, lo dice la Storia. La passerella di politici e giornalisti in Afghanistan secondo lei era organizzata per dare una vernice patriottica e una volto positivo a quel concetto e a una missione sbagliata?
“Magari ci fossero state queste passerelle. Non avremmo assistito a metà agosto alle tante espressioni di sorpresa di politici e giornalisti, appunto. Tenete presente che negli ultimi anni di commissioni parlamentari se ne sono viste poche – a differenza dei Balcani dove venivano spessissimo – come dei cosiddetti media tour, che in passato venivano periodicamente organizzati. L’epoca delle vacche magre dei giornali ha poi fatto il resto”.
Risulta che le “passerelle” erano frequentissime nei primi anni di missione, quando si pensava a un successo, e poi si sono quasi azzerate quando si profilava il fallimento. La crisi dei giornali è marginale: gli inviati, spesso improvvisati, erano in massima parte “invitati”. Era caduto l’interesse, anche politico, per una missione che si tendeva a nascondere, anche se oggi i nostri politici, con la solita retorica, si affannano a dichiarare che “l’Afghanistan è importante e non deve tornare a essere la base del terrorismo”. Lo stesso Mattarella ha appena ribadito il ruolo della Nato e della partecipazione dell’Italia alle missioni all’estero. Non crede che, nonostante questo, gli afghani “buoni”, gli emancipati o collaboratori o di buona volontà saranno dimenticati o respinti?
“Quello che voglio credere e soprattutto sperare è che una larga parte delle forze migliori dell’Afghanistan, anche quelle riparate in Pakistan (nonostante l’antiamericanismo del suo presidente, l’ex play boy Imran Khan, ndr), rimangano o tornino. Non sarà facile né privo di pericoli, ma devono farlo: quel Paese ha più che mai bisogno di loro. Bisogna contenere il rischio di una catastrofe umanitaria. La convocazione di un G20 ha questo obiettivo.”
Non si avvertiva, sul teatro di guerra, come dite voi, l’esigenza di una minore dipendenza dalle decisioni ondivaghe del governo degli Stati Uniti?
“Non definirei ondivaghe le decisioni Usa al riguardo, piuttosto direi che non pochi osservatori occidentali hanno fatto previsioni sbagliate. Prima dubitando della reale volontà di Trump di volersi ritirare, e poi ipotizzando che un inquilino democratico della Casa Bianca avrebbe ribaltato le decisioni del predecessore. Detto questo, alla Nato le occasioni di consultazione proprio non mancano. Io ho prestato servizio con l’Onu ma anche con la Ue e l’Osce e mi creda, non c’è organizzazione internazionale che fa tanti briefing come la Nato, anche troppi.”
Adesso si teme una ripresa in grande stile del terrorismo jihadista. E’ anche un suo timore?
“Se ripercorriamo gli ultimi dieci anni, purtroppo non mi pare che il fenomeno terroristico sia stato assente, quanto meno in Europa. Nel frattempo, per quanto possibile, molti Paesi sono corsi ai ripari, ma il rischio attentati è ormai una tragica realtà del nostro tempo, al di là di chi sia al potere nella tal capitale.”
E da ultimo: 11 settembre, missioni fallite in Iraq e Afghanistan, assalto al Campidoglio, caduta di Kabul. Gli Stati Uniti hanno davvero perduto il loro ruolo guida dell’Occidente?
“Noto una certa schizofrenia in Europa: in passato ci siamo spesso lamentati che gli americani volessero sempre fare i gendarmi del mondo, adesso ci preoccupiamo per il loro disimpegno da alcune aree di crisi. Delle due l’una.”
Shakespeare 2.0 scriverebbe: “Fragilità, il tuo nome è opinione pubblica”.
Enzo Polverigiani
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