AFGHANISTAN

Inferno afghano: il dramma di una famiglia bloccata a Kabul

Gli ultimi giorni per Africa ExPress cono stati particolarmente concitati
e turbati dagli sforzi che abbiamo fatto per tirar fuori dalle sabbie mobili afghane una famiglia locale
già in possesso dei permessi necessari
per salire su un aereo italiano. Non riuscivano a entrare in aeroporto.
Impegnati nella ricerca di una soluzione hanno mobilitato tutti:
militari, Farnesina, giornalisti, ambasciate anche non italiane.
E il senatore Alberto Airola, che si è speso come
 un matto. Non ci siamo riusciti.
Ora speriamo di salvarli con le evacuazioni previste verso il Pakistan.

Speciale per Africa ExPress
Annamena MastroianniSara Mauri
28 agosto 2021

In questi giorni abbiamo provato a fare qualcosa di concreto per le persone che stanno fuggendo dall’Afghanistan. Insieme a Massimo Alberizzi, direttore di Senza Bavaglio e di Africa Express, abbiamo creato una chat tra italiani e afghani. Ci siamo sentiti giorno e notte, cercando contatti e tentando di costruire ponti laddove c’erano muri. Tra delusioni, timori e dolore, siamo stati accanto alle persone che andavano in aeroporto e poi tornavano a casa, a coloro che ce l’hanno fatta e a coloro che non ce l’hanno fatta. Abbiamo sperato, creduto e pregato insieme a loro.
Abbiamo parlato con persone che speravano con il loro nome di essere nella lista. Abbiamo assistito ad aspettative deluse e prospettive distrutte, i muri di folla, gli spari. Lo abbiamo fatto tra impotenza e tristezza, tra rassegnazione e una grande, grandissima voglia di riuscire a farcela. Siamo Annamena Mastroianni e Sara Mauri, colleghe, giornaliste e ora anche sorelle. Sul campo.
Questi sono i nostri due racconti. Soggettivi, perché le emozioni in certi casi (purtroppo) comandano la cronaca.

Afghanistan: famiglie in fuga

Annamena Mastroianni

Soprattutto nelle ultime ore, la “questione Afghana” non risulta più essere appunto “una questione” ma il centro di una messa in discussione di responsabilità mondiali. Responsabilità e irresponsabilità che negli ultimi giorni si sono ripiegate su se stesse.

Questi ultimi giorni sono stati capaci di paralizzare i pensieri e talvolta spezzare il respiro, giorni che ingoiati completamente dalla paura della notte abbiamo chiamato ‘giorni della speranza’.

Ore su ore che si sono attorcigliate e sciolte attraverso un senso di rabbia e impotenza incommensurabili. Tutto ha avuto inizio con la prepotenza con cui il cuore e il senso di giustizia ha voluto a tutti i costi tentare di salvare vite. Tutte le vite sono sacre ma ‘quelle’ vite andavano strappate ai brutali eventi a qualunque costo.

Un uomo Y. e una donna T. che da anni si sono spesi in difesa dei diritti umani e delle donne, come la partecipazione alla battaglia  #whereismyname per l’inclusione dei nomi delle donne sui propri documenti.

Preoccupati per le famiglie

Quest’ultima, una lotta alla sensibilizzazione fortemente motivata da T. che ho avuto il piacere di intervistare attraverso il mio lavoro redazionale presso il giornale V-news.it. T. e Y. sono preoccupati per le rispettive famiglie bloccate a Kabul, terrorizzate ancor più perché i rapporti di parentela,  con chi combatte l’assenza di diritti, potrebbe spingerli a essere segnalati prima e più di altri.

Durante questa lotta costante per salvarli, fatta di notti insonni, e-mail, telefonate, richieste e traduzioni supportate a qualunque ora del giorno e della notte da mio figlio Andrea, ho avuto anche il piacere di conoscere persone meravigliose come la collega giornalista Sara Mauri.

Il marine Rylee McCollum, uno dei marines uccisi all’aeroporto di Kabul nell’attentato del 26 agosto (foto per gentile concessione della famiglia McCollum)

Sara mi ha affiancata in questa tortuosa e disperata dichiarazione di speranza chiesta in ogni dove, che ha abbracciato colori, tessere e associazioni di diversa tipologia, ma unite dalla volontà di sottrarre esseri umani a un tragico destino.

Battaglia di civiltà

Durante questa battaglia di civiltà ho incrociato il cammino di un’altra anima luminosa, quella di un giovanissimo N. anche lui attivo costantemente per poter aiutare tutti loro in un primo tempo e poi, una volta saputo dell’inserimento in lista dei nominativi, anche della sua famiglia.

Queste mie righe siano l’urlo della speranza morta assieme all’attesa senza risposta alcuna, attaccati al cancello dell’aeroporto di Kabul, della famiglia di T.

Sia l’aceto della lontananza bevuto da N. distante dalla sua famiglia bloccata a Kabul, senza alcuna certezza di sopravvivere ai cambiamenti che non si possono contrastare. Sia la felicità non del tutto pienamente assaporata di sapere la famiglia di Y. in salvo, in Italia.

Soprattutto resti eterno il senso di inadeguatezza, impotenza, rabbia e la sofferenza di tutti i momenti in cui si voleva fare, ma non si riusciva, perché ci si sentiva pedine, per qualche ora cani sciolti e poi strattonati e ben legati all’albero degli impedimenti.

Spari addosso

Ancor più quando scrivevo e chiamavo senza sosta il console italiano Tommaso Claudi, e il capitano Alberto del Basso e in contemporanea avevo la responsabilità di dire a quelle famiglie “Restate anche con gli spari addosso oppure andate via”.

Perché prima e durante queste schegge di realtà che cerco di vomitare emotivamente, bloccata perché sofferente e preoccupata ancor più adesso, abbiamo creato una chat composta da italiani e afghani, abbiamo comunicato, pianto e tentennato giorno e notte, cercando contatti a tutti i livelli.

Questa altalena fatta di ansia e sensibilità concedeva rari momenti di speranze e altrettanti di delusioni, soprattutto mentre si monitorava gli afghani che si recavano in aeroporto con non poche difficoltà, gli stessi che tornavano a casa.


Uomini e donne che hanno vissuto con la certezza rimarcata de “I vostri nomi sono al gate”, ma poi sconfitti dal muro di folla che li respingeva a casa.

Paure alimentate soprattutto dopo l’attentato, dove hanno perso la vita in tanti, nell’attesa che qualcuno li andasse a prendere e li portasse in salvo, condannati alla pesantezza di una clessidra immaginaria fatta di fame, sete e terrore.

Perché sono solo una donna, una madre, una insegnante, una giornalista, non una soldatessa tra il muro di cinta e il fiumiciattolo che costeggia il gate Abbey!!

Queste mie parole facciano riflettere sul significato dell’essere non più spettatori di eventi ma nemmeno eroi, perché
il mondo non ha bisogno di eroi ma di una umanità consapevole e coraggiosa.

Terrorizzati sotto gli spari

Tutti dobbiamo cominciare a non fare a meno dell’indignazione quando si ingoiano certe immagini, quando si ascoltano dichiarazioni di morte, di arretramenti di azione, quando si pensa alla politica come parcheggio di ideologie e non come attuazione di intenti sociali e ideali umani.

Quegli uomini e quelle donne che conosco e tutti gli altri che erano comunque in aeroporto, in attesa di una persona che li andasse a prendere, terrorizzati sotto gli spari e le granate, erano lì, attaccate alla vita per sopravvivere, perché scappare rischiando di morire era meglio di restare inermi coscienti di morire e subire senza aver lottato, tentato.

Mi chiedo tutt’oggi: perché nessun protocollo per il trasporto e l’inserimento in aeroporto degli Afghani inseriti nelle liste e avvertiti telefonicamente dalla ambasciata? Perché non si è pensato di gestire la ‘questione’ afghana in modalità differenti?
Perché stiamo lasciando che un popolo si sgretoli, si faccia dimenticare, cancellare da chi si sente forte solo perché ha le armi a permetterne una autodeterminazione di forza?

Un grazie speciale a:

Mio figlio Andrea Zampella, instancabile guerriero di luce
Sara Mauri, sorella di lotta e di cuore
Sen. Cinzia Leone
Massimo Alberizzi
Sen. Alberto Airola
Michela Nacca presidente Associazione Maison Antigone
Isa Maggi di Stati Generali delle donne
Angelo Argento di Cultura Italiae
Lo staff di solidarietà Italiae
On. Alessandra Moretti

Sara Mauri

L’impotenza, la sensazione di non riuscire ad aiutare, la voglia di farcela. Questo è il resoconto delle ore che io e Annamena Mastroianni (Annamena più di me) abbiamo trascorso, chine sui telefoni per tutta la notte, aspettando una risposta, un messaggio, attendendo una notizia. Tra sere piene di speranza e la nostra felicità nel vedere persone iscritte alle liste italiane dei passeggeri in partenza dall’aeroporto di Kabul.

Famiglie intere che speravano di salvarsi, persone come noi. Anime in mezzo al caos di un aeroporto che è diventato un inferno.

Mi chiama una mia amica piangendo. La chiamerò A. per proteggere il suo nome. È una mia fonte, la conosco da tre anni. In passato, l’ho intervistata per Il Giornale e per Linkiesta. A. è un’attivista internazionale per i diritti umani, per i diritti delle donne in Afghanistan. Mi chiama chiedendo aiuto per salvare i suoi fratelli, per salvare sua madre.

Missione complicata

A. è stata una delle donne che hanno partecipato alla battaglia #whereismyname per l’inclusione dei nomi delle donne sui documenti afghani. La sua famiglia è in pericolo, i talebani ci metteranno poco a fare il collegamento tra lei e i suoi cari. “They know who they are”, “sanno chi sono”.

Aiutarli mi sembra una missione impossibile, sono solo una giornalista senza neanche più un giornale, ma ho qualche contatto. Scrivo a tutti, ci provo. Quelle persone vanno portate fuori in fretta.
Dopo tanti sforzi, A. mi dice che la sua famiglia è sulla lista delle persone che saranno evacuate dall’esercito italiano. Un miracolo. Ma non sono riusciti a mettersi in salvo. Sono tornati a casa, sono nascosti a Kabul.

Afghanistan: una mamma riuscita a entrare un aeroporto con la sua bambina

Annamena Mastroianni l’ho conosciuta così. Dopo aver saputo che anche lei, meglio di me, stava tentando il tutto e per tutto per salvare vite e per salvare la famiglia di A.

Smuovere montagne

Annamena ha smosso le montagne, combattuto giorni e notti. Ed è grazie ad Annamena che ho conosciuto N., studente modello, un ragazzo afghano che vive in Italia. N. è stato sveglio tutte le notti a tradurre i documenti quando anche la sua famiglia, composta da molti bambini e una sorellina affetta da sindrome di Down si trovava a Kabul e non era nella lista.

Il mio rimpianto più grande è quello di non aver conosciuto prima N. Magari ora la sua famiglia sarebbe in salvo. Magari avrei potuto fare qualcosa, qualcosa in più. I nomi dei membri dei suoi parenti sono stati inseriti sulla lista troppo tardi e questa cosa mi tormenta, mi uccide. L’immagine felice della sua sorellina mi strazia il cuore.

La notizia positiva, ciò che ora mi rincuora di più, è che la famiglia di Y. (con due bambini), aiutata da Annamena, ora è al sicuro ed è riuscita a prendere l’aereo per arrivare in Italia.

Coraggio dei militari

Le famiglie di A. e N., però, sono ancora là. E ora, dopo gli attentati dell’altra sera all’aeroporto di Kabul, proprio ad Abbey Gate, il punto esatto dove aspettavano le persone in attesa degli aiuti dell’esercito italiano, la situazione si è complicata ancora di più. Da lí è impossibile passare, i talebani hanno chiuso l’aeroporto e le persone sulle liste di evacuazione non riescono a passare.

Nonostante il coraggio dei nostri militari, l’impegno dei nostri politici, troppe persone stanno ancora tentando di portare in salvo i propri cari. Molte famiglie sono sulla lista italiana dei passeggeri, ma non riescono a raggiungere la salvezza.

La situazione è disperata, ma dobbiamo ancora crederci. Ora, l’unica speranza è di tentare la via per gli stati vicini. Ma la strada per Islamabad via Peshawar, in Pakistan, è lunga, incerta e piena di terrore.

Un grazie speciale a:
Annamena Mastroianni, ormai una sorella
Andrea Purgatori
Massimo Alberizzi
Sen. Alberto Airola
Daniele Nahum
(persone dal cuore d’oro)

Annamena MastroianniSara Mauri

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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