Francesca Canino
19 agosto 2021
La grave crisi idrica che ha colpito l’Iran negli ultimi mesi è solo la punta dell’iceberg della drammatica situazione socio-politica del paese. Le scelte sbagliate effettuate nel corso degli anni dalle autorità di Teheran hanno suscitato le proteste dei cittadini, che nello scorso mese di luglio sono scesi in piazza al grido di “Abbiamo sete”.
La protesta sorta nella provincia meridionale del Khuzestan, ricca in passato di acqua e petrolio, si è rapidamente diffusa nel resto del Paese, a rischio siccità da nord a sud. Secondo il regime, le cause della mancanza di acqua sono da attribuire alle scarse precipitazioni e alle elevate temperature dell’ultimo periodo; secondo i manifestanti, invece, la carenza idrica è dovuta alla costruzione di numerose dighe, le quali hanno sostituito i canali sotterranei e sottratto alle province l’importante risorsa.
La siccità e la gestione poco oculata delle risorse naturali iraniane hanno indotto la popolazione del Khuzestan a reclamare il proprio diritto all’acqua, visto che un terzo delle risorse idriche del Paese si trova proprio in questa provincia. La grande quantità di acqua, infatti, ha contribuito a renderla una terra fertile e centro di produzione di diverse colture tipiche.
La regione ospita anche la maggior parte dei giacimenti petroliferi dell’Iran, ma nonostante si produca ricchezza, gli abitanti non ne traggono alcun beneficio e subiscono le conseguenze dell’inquinamento e della mancanza di acqua che ha alterato i cicli produttivi. Migliaia di contadini del Khuzestan hanno visto diminuire i loro raccolti e, di conseguenza, le già risicate entrate economiche.
Una bomba sociale se si considera che l’Iran è sotto embargo e che il Governo non ha finora mostrato la volontà di porre rimedi concreti alla crisi in atto. La risposta del regime iraniano alle proteste scoppiate in Khuzestan è stata l’interruzione di internet per evitare la diffusione delle notizie e impedire alla popolazione di organizzarsi. Numerose sono state inoltre le condanne degli attivisti per i diritti umani.
Stravolto dalla crisi idrica e schiacciato dall’embargo, l’Iran è oggi sotto pressione anche per aver affrontato la pandemia con molta leggerezza. La campagna di vaccinazione è andata avanti lentamente e dopo le proteste scoppiate per preservare l’ambiente e l’economia del Paese, le autorità governative hanno interrotto le vaccinazioni che avrebbero consentito ai cittadini di manifestare con maggiore sicurezza.
Secondo fonti interne, il regime non avrebbe voluto mettere in atto misure per contrastare la pandemia, favorendo la diffusione del Covid-19 e causando migliaia di morti. Avrebbe, invece, occultato i dati epidemiologici e vietato l’importazione dei vaccini Pfizer e Astrazeneca destinati alla popolazione, ma non quelli riservati alle autorità, creando una situazione sanitaria molto pericolosa, funzionale al Governo che può così controllare le rivolte popolari.
Sembra che le vittime siano quattro volte superiori ai numeri ufficiali diffusi dalle autorità iraniane e che il personale sanitario sia ormai stremato e privo dei mezzi necessari per affrontare i rischi del virus. Per questi motivi, alcuni iraniani che vivono all’estero si sono appellati all’Organizzazione Mondiale della Sanità perché sanzioni il governo di Teheran.
Francesca Canino
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