Cornelia I. Toelgyes
7 agosto 2021
Il governo di Khartoum ha approvato l’adesione allo Statuto di Roma, del 1998, che ha istituito la Corte Penale Internazionale (CPI). È un passo importante per la normalizzazione dei rapporti con le istituzioni internazionali e la salvaguardia della pace interna.
La decisione per essere operativa sarà sottoposta ad una riunione congiunta tra l’esecutivo ed il Consiglio sovrano (TMC), composto da 11 membri, il cui presidente è Abdelfattah El Burhan, de facto capo dello Stato. Mentre il suo vice è Mohamed Hamdan Daglo, meglio conosciuto come Hemetti. E’ anche a capo delle forze paramilitari di Rapid Support Forces (ex janjaweed).
L’adesione permetterà alla CPI di processare l’ex dittatore Omar al-Bashir ed i suoi più stretti collaboratori per i crimini compiuti durante la guerra nella regione occidentale del Darfur. Il vecchio tiranno era salito al potere con un colpo di Stato del 1989, quando, come colonnello dell’esercito sudanese, aveva guidato un gruppo di ufficiali in un incruento golpe che aveva rovesciato il governo civile del primo ministro Sadiq al-Mahdi.
Nell’aprile 2019 al Bashir a sua volta è stato destituito dopo le proteste che avevano infiammato le strade e le piazze di tutto il Paese dal precedente 18 dicembre 2018, scoppiate all’annuncio dell’aumento di tre volte del prezzo del pane.
Dall’estate del 2019 Abdallah Hamdok è il premier ministro nominato sulla base dell’accordo politico siglato tra i militari e i civili (Alleanza Freedom and Change), che dopo la deliberazione del 3 agosto scorso, durante la riunione del consiglio dei ministri, ha spiegato: “Vogliamo che sia resa giustizia alle vittime dei crimini commessi sotto il regime Omar al Bashir”.
Nel giugno 2019 Abiy Ahmed, primo ministro etiopico, è stato uno dei mediatori durante la crisi in Sudan. Oggi il Premio Nobel per la Pace 2019 rifiuta la mediazione di Khartoum per risolvere il grave conflitto nel Tigray.
Nel marzo 2009 la CPI aveva spiccato un mandato d’arresto nei confronti del vecchio despota per crimini contro l’umanità (compresi gli stupri di massa) e genocidio proprio per le violenze commesse in Darfur. Malgrado ciò, mentre era al potere, è riuscito a spostarsi dal Paese senza che nessuno lo consegnasse alla giustizia. Questo perchè il CPI non ha una forza di polizia propria, ma delega gli Stati membri il compito di fermare le persone sospette o colpite da un mandato di cattura.
Durante il sanguinoso conflitto n Darfur sono state uccise oltre 300.000 persone, altre 2.5 milioni hanno lasciato le loro case, per non parlare delle violenze che hanno dovuto subire le donne di quella regione, in particolare dai sanguinari janjaweed, diavoli a cavallo” (come li chiamava la popolazione): bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.
Già nel dicembre del 2019 il procuratore generale del Sudan, Tagelsir el-Heber, aveva aperto un’inchiesta sui crimini commessi nel Darfur da una cinquantina di vecchi dirigenti del regime.
E due giorni fa il tribunale di El Obeid, capoluogo del Nord-Kordofan, presieduto da Ahmed Hassan El Rahamae, ha condannato sei membri RSF alla pena capitale, per aver ucciso sei persone, compresi alcuni studenti di una scuola secondaria, durante una manifestazione svoltasi il 29 luglio di due anni fa nella città.
Lo scorso luglio è stata emessa una seconda sentenza di morte nei confronti di un membro di RSF, per aver ammazzato un manifestatante in un’altra protesta. Hemetti, capo di RSF, ha fatto sapere che le sue truppe hanno appena completato il secondo corso di addestramento tenuto da esperti dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (OHCHR).
Cornelia I. Toelgyes
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