Africa ExPress
1° agosto 2021
Idit Harel Segal è una cinquantenne israeliana, sposata e madre di tre figli. Un giorno ha annunciato di punto in bianco ai suoi familiari di voler donare un rene per salvare una vita.
Il nonno di Segal era sopravvissuto all’olocausto, le aveva raccomandato di vivere una vita intensa e, secondo la donna, questi insegnamenti sono stati fondamentali, hanno maturato in lei la volontà di sottrarre alla morte un essere umano.
La maggior parte dei suoi cari non ha accettato di buon grado questa sua decisione. Il marito, preoccupato, ha cercato in tutti modi di dissuadere la coniuge. Mentre il padre di Segal è andato su tutte le furie, è rimasto pietrificato, allibito nel sentire che la figlia volesse donare un rene semplicemente per fare una buona azione. Era preoccupato per lei, paura che potesse morire; ha detto persino al genero che dovrebbe divorziare, perché ritiene inammissibile che una moglie possa fare scelte del genere.
Solamente i tre figli di 25, 15 e 10 anni hanno appoggiato la decisione della madre. In particolare la femminuccia, la più piccola, la vede come una fata, una super-eroina; la mamma le aveva spiegato che sono rare le donne pronte a sottomettersi all’ espianto di un rene.
“Credo sia così perché viviamo ancora in una società patriarcale, gli uomini trattano le donne e il loro corpo in modo troppo protettivo, come una loro proprietà”, ha sottolineato Segal.
Dopo aver affrontato le prime resistenze, la generosità della donna si è dovuta scontrare con un “nuovo ostacolo”. Il primo paziente in lista per il trapianto di un rene era un bimbo di 3 anni della striscia di Gaza. Bilal (nome di fantasia) colpito da una patologia renale congenita, era costretto a dialisi sin dalla nascita. Il papà è autista di taxi, mentre la mamma è diplomata in diritto. Il piccolo ha un fratello di 7 anni e, purtroppo, nessuno dei congiunti prossimi è risultato essere idoneo come donatore. Purché il figlio venisse inserito nella lista dei trapianti, il padre ha promesso di dare un suo rene a un’israeliana.
La famiglia di Segal e lei stessa sono ideologicamente conservatori, inoltre, tre suoi congiunti prossimi sono stati ammazzati da terroristi palestinesi. I nonni paterni sono stati uccisi durante un attacco nel 1948 a Gerusalemme, quando suo padre aveva solo un anno. Nel 2002, durante la seconda intifada, ha perso la vita anche uno zio.
Malgrado tutto, Segal non ha cambiato opinione, è rimasta ferma nella sua decisione di donare il suo rene al primo paziente in lista di attesa per un trapianto. Senza se e ma si è sottoposta all’intervento per poter dare una nuova vita a Bilal. “Dal mio punto di vista il mio gesto è stato personale, non politico”.
“Ho passato momenti indimenticabili con il bambino e la sua famiglia al centro medico Beilinson di Petah Tikva. Mentre ero nella camera d’ospedale insieme a Bilal e la sua mamma, ho potuto accarezzare il piccolo. Gli ho cantato anche una ninna nanna in ebraico e poco dopo sia lui che la mamma si sono addormentati”, ha raccontato Segal.
E infine ha aggiunto: “Sono felice della scelta che ho fatto, anche se questa non ha per nulla influenzato le mie ideologie politiche. Ora tutta la famiglia si è riconciliata con me. Sono contenti che io stia bene, anche se non hanno compreso il mio gesto”.
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