AFRICA

Lotta feroce tra islamisti del West Africa Province e quelli del Greater Sahara

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
31 luglio 2021

L’ultimo fatto d’arme che modifica la situazione geopolitica nella regione del Lago Ciad è la morte di Abubakar Shekau, capo di Boko Haram, definito dallo Stato Islamico (ISIS), che ne ha ordinato l’esecuzione, “leader disobbediente e corrotto”. L’eliminazione fisica di Shekau è stata affidata allo Stato Islamico West Africa Province (ISWAP), gruppo rivale di Boko Haram dal quale si è staccato nel 2016.

Abubakar Shekau in un video di propaganda: “Ho un accordo per vendere esseri umani. Me lo ha ordinato Dio”

Shekau, condannato a causa dell’eccessiva violenza usata contro i musulmani nelle aree sotto il suo controllo, piuttosto che cadere nelle mani dell’ISWAP ha preferito farsi esplodere durante l’assedio della sua base.

I vantaggi di ISWAP dopo la morte di Abubakar Shekau

La morte di Abubakar Shekau porta parecchi vantaggi a ISWAP. Prima di tutto le basi di Boko Haram nella Sambisa Forest, nord-est della Nigeria, e un grande quantitativo di armi accumulato da Shekau. Il successo dell’operazione e l’eliminazione di un capo “disobbediente e corrotto” offre di certo maggiore visibilità al movimento e al suo leader, Abu Musab al-Barnawi.

Probabilmente sposta anche miliziani di Boko Haram che, in disaccordo con Shekau, preferiranno entrare in ISWAP. Inoltre ISWAP ha preso il controllo delle strategiche colline di Gwoza tra Camerun e Nigeria. Questo permetterebbe al gruppo jihadista di conquistare altri spazi e reclutare nuovi miliziani.

La crescita violenta dello Stato Islamico del Grande Sahara

Mentre ISWAP si allarga, le ambizioni dello Stato Islamico del Grande Sahara (ISGS) crescono. Il movimento jihadista, tra Mali, Burkina Faso e Niger, è diventato molto più aggressivo. Secondo i dati dell’Africa Center for Strategic Studies il 2020 è stato l’anno più devastante per la violenza islamista nel Sahel. È aumentata del 60 per cento rispetto al 2019 con 4.250 morti e oltre la metà di questi decessi sono responsabilità di ISGS. Tra Mali, Burkina Faso e Niger, quasi il 50 per cento dei civili sono vittime di estorsione e ISGS, dieci volte più attivo degli altri gruppi islamisti militanti, è ormai quello dominante.

La causa di questa espansione è lo sfruttamento delle comunità che estraggono l’oro artigianalmente e il controllo delle rotte commerciali del contrabbando nella costa occidentale. L’ultimo grande massacro jihadista, attribuito a ISGS, è quello del 5 giugno a Solhan, in Burkina Faso: almeno 160 civili morti.

Mappa degli attacchi ISGS nel 2020 (Courtesy ACLED)

Per la Francia alti costi e pochi risultati

Neanche i 5.100 militari francesi, con l’operazione Barkhane, in sette anni sono riusciti a fermare il terrorismo jihadista dell’area. L’intervento militare francese, nel 2020, è costato un miliardo di euro senza grossi risultati. E 55 morti. Difficile da accettare per l’opinione pubblica francese. Il presidente francese, Emmanuel Macron, quindi ha deciso chiudere la missione. Continua invece la missione Barkhane della task force europea Takuba, supportata ora anche dalla logistica NATO.

È sempre esistita rivalità tra ISWAP di Abu Musab al-Barnawi e ISGS di Adnan Abu Walid al-Sahrawi. Formalmente sono parte di ISIS ma nella pratica utilizzano modalità diverse sia per gli attacchi che per l’organizzazione delle aree che controllano. ISWAP ha soprattutto obiettivi militari, africani e stranieri. Nelle aree occupate raccoglie consenso mettendo a confronto i suoi servizi sociali alla popolazione con quelli carenti degli Stati oggetto di terrorismo. L’ISGS ha dimostrato che l’obiettivo prioritario sono gli attacchi ai civili e lo sfruttamento massiccio della popolazione.

ISIS, nel 2019, ha deciso una ristrutturazione organizzativa in Africa: lo Stato Islamico del Grande Sahara è stato incorporato nello Stato Islamico West Africa Province. È diventata un’unica gang africana di tagliagole che porta dolore e morte con differenti procedure.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
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Sandro Pintus

Giornalista dal 1979, ha iniziato l'attività con Paese Sera. Negli anni '80/'90 in Africa Australe con base in Mozambico e in seguito in Australia e in missioni in Medio Oriente e Balcani. Ha lavorato per varie ong, collaborato con La Repubblica, La Nazione, L'Universo, L'Unione Sarda e altre testate, agenzie e vari uffici stampa. Ha collaborato anche con UNHCR, FAO, WFP e OMS-Hedip.

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