Cornelia I. Toelgyes
9 luglio 2021
Anche quest’anno sono state annullate le celebrazioni del 9 luglio, anniversario dell’indipendenza del più giovane Stato della Terra, il Sud Sudan. Durante una seduta straordinaria del Consiglio dei ministri, che si è tenuto a Juba mercoledì scorso, presieduto dal capo di Stato, Salva Kiir, è stato deliberato di annullare qualsiasi avvenimento pubblico già messo in calendario. Troppo pericoloso vista l’espandersi della pandemia. Ma alcune fonti hanno mormorato che le cause sono ben altre: la grave crisi economica che sta attraversando il Paese non permette sperperi di nessun genere, il governo non può spendere soldi per festeggiamenti, nemmeno per quello del decimo anno dall’indipendenza dal Sudan.
E’ il sesto anno consecutivo che non si festeggia più il giorno dell’indipendenza in Sud Sudan. Prima a causa della guerra civile, e dallo scorso anno per covid-19. Kiir ha chiesto espressamente alla popolazione di restare nelle proprie case e di ascoltare il suo discorso, che sarà trasmesso in diretta dalla TV di Stato.
Il consiglio delle Chiese sud sudanesi, in un suo comunicato di mercoledì scorso ha detto a chiare lettere: “C’è ben poco da festeggiare. Ora auguriamo alla popolazione che il prossimo decennio sia costellato di pace, gioia, giustizia, libertà e prosperità”.
La guerra civile, scoppiata nel 2013, è costata la vita a quasi 400 mila persone. Ancora oggi i rifugiati nei Paesi limitrofi sono oltre 2,2 milioni, mentre gli sfollati sono 1,47 milioni e nel Paese 1,9 milioni di bambini e donne soffrono di malnutrizione grave.
Corre l’anno 2011, quando i primi di febbraio Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, annuncia i risultati del referendum: il 98,83 per cento delle schede sono a favore della secessione; i sud sudanesi scelgono l’indipendenza. La vittoria dei sì – giunta dopo oltre trent’anni di guerra – viene festeggiata nelle città e nei villaggi del sud. Ma, secondo gli accordi di pace, l’indipendenza viene proclamata il 9 luglio 2011.
Speranze e aspettative erano tante, infinite. Oggi quasi tutte sepolte. Le sofferenze della gente sono state e sono tutt’ora inimmaginabili. A nulla sono valsi infiniti trattati di pace, siglati e risiglati. Gli scontri tra etnie sono stati violenti e accesi.
Nicholas Haysom, nuovo responsabile dell’ONU in Sud Sudan, ha spiegato, durante il suo intervento al Consiglio di Sicurezza il mese scorso, che l’80 per cento dei civili uccisi quest’anno è il risultato di scontri e violenze tra le varie comunità. E ancora oggi gli operatori umanitari sono tra quelli maggiormente esposti, basti pensare che recentemente sono stati brutalmente ammazzati quattro di loro e milioni di dollari di aiuti sono stati distrutti.
Haysom ha chiesto al governo interventi immediati, di implementare quanto prima il processo di pace e, di indire al più presto nuove elezioni. La prossima tornata elettorale è prevista per il 2023, ma già da tempo molti esponenti della società civile hanno chiesto ai due leader del Paese, il presidente Dinka Salva Kiir e il vicepresidente Nuer Riek Machar, di rassegnare le dimissioni e uscire dalla scena politica.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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