Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 18 giugno 2021
Dai clienti la “merce” veniva ordinata come “colombine” e “conigliette”, questo succede all’interno del penitenziario femminile di Ndlavela, a Maputo, capitale del Mozambico. Dietro le sbarre hanno creato un vero e proprio business del sesso ai danni delle detenute. Si tratta di donne che vengono obbligate a vendere il proprio corpo per tariffe tra 50 e 500 USD a prestazione fuori dal carcere. Dentro e fuori dalle mura della prigione i secondini hanno il controllo del mercato del sesso e decidono quale detenuta vendere. A seconda delle esigenze dei clienti.
L’indagine del CIP
La denuncia dello sfruttamento sessuale è stata presentata dal Centro di integrità pubblica (CIP) di Maputo. Una ventina di pagine con testimonianze dirette e un video. Borges Nhamirre, coordinatore dell’indagine, ha affermato che lo sfruttamento sessuale delle detenute di Ndlavela dura da 10 anni. Questa rete di prostituzione clandestina colpisce soprattutto le detenute più fragili, in particolare quelle che non hanno l’appoggio della famiglia.
I clienti sono esterni e non hanno la possibilità di scegliere le donne. Cosa non facile per i ricercatori infiltrati nel business che volevano incontrare e intervistare le vittime. Le maggiori richieste sono: detenute dalla pelle più chiara, magre, alte e giovani. Le donne vengono portate fuori dal carcere in auto e sono controllate dalle guardie per evitare che scappino dal “posto di lavoro”. Tutto con la complicità di una pensione vicina al carcere che affitta le camere.
Testimonianze agghiaccianti
Marta è una delle detenute più giovani, le più richieste. Sono quelle che portano maggiori guadagni nelle tasche degli sfruttatori: “Mi fanno avere anche tre rapporti al giorno con uomini diversi e questo succede per due, tre giorni a settimana” ha raccontato al CIP. “Mi posso riposare solo quando ho il ciclo mensile. La notte posso solo piangere”. Ha tentato il suicidio e spesso pensa di riprovarci. Ma si ferma perché pensa alla figlia di 7 anni e alla mamma che si occupa della piccola.
Mariana è stata tenuta sotto pressione per due mesi finché è stata costretta a cedere. La prima volta che è uscita a prostituirsi, è stata obbligata a fare sesso con due uomini. “Mi hanno fatto uscire fingendo di andare all’ospedale. Mi hanno fatto incontrare due uomini che mi hanno portato in una casa in città. Di me hanno fatto tutto quello che volevano – ha raccontato con gli occhi pieni di lacrime -. È stato il giorno peggiore della mia vita”.
La psicologa Andrea Serra: “In questi casi c’è molta paura di denunciare. Le vittime si trovano di fronte a intimidazioni, manipolazioni e anche una minaccia alla loro integrità fisica. Hanno paura che se denunciano, la loro vita sarà messa in pericolo”. Il rapporto dice che le detenute che si rifiutano di prostituirsi vengono picchiate e non ricevono il cibo a sufficienza. Le detenute, oltre che essere sfruttate sono molestate e abusate sessualmente anche dalle guardie.
Una rete ben organizzata
Secondo Conceição Osorio, dell’ong Donne e legge in Africa australe (WLSA), in questo schema di prostituzione non sono coinvolti solo i secondini. Per Osorio si tratta di una rete di un sistema ben organizzato dove esiste impunità. “Conosco la prigione, è difficile passarci senza che diversi occhi non siano all’erta”.
Il CIP chiede la creazione di una commissione d’inchiesta indipendente che integri diversi organi e istituzioni dello Stato. Tra questi il Parlamento, la Procura e le organizzazioni per i diritti umani, affinché si indaghi nelle carceri femminili di tutto il Paese.
La pubblicazione del dossier ha fatto tremare le poltrone del Potere. Il giorno dopo la presentazione del documento, la ministra mozambicana della Giustizia, Helena Kida, è piombata nel carcere dello scandalo per una riunione con la direzione. Poco dopo la ministra ha firmato un’ordinanza con due punti. Il primo è la sospensione, con effetto immediato, di tutta la direzione del penitenziario femminile di Ndlavela. Il secondo è la creazione di una commissione ministeriale di inchiesta composta da quattro organizzazioni della società civile.
Sandro Pintus
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