Massimo A. Alberizzi
4 giugno 2121
Assume contorni surreali la vicenda di Marco Zennaro, l’imprenditore veneto trattenuto da oltre due mesi in una cella di sicurezza della polizia di Khartoum, in Sudan, perché avrebbe messo in atto una truffa ai danni di due società locali. Spunta una terza denuncia che lo tiene ancora inchiodato in carcere. Una storia piuttosto complicata.
Zennaro da anni va avanti e indietro con il Sudan e fa affari. Vende materiale elettrico e ha rifornito soprattutto l’ENEL locale, la NEC (National Electricity Corporation, che ora ha cambiato nome e si chiama SEDEC, Sudanese Electricity Distribution Company). Viaggia spesso con il padre con cui però a un certo punto litiga, tanto da interrompere ogni rapporto interpersonale.
Alcuni mesi fa firma con la società Gelabi & Sons un contratto per una fornitura di trasformatori per il valore di 1.156.000 euro. Quando il materiale arriva a Khartoum i tecnici locali denunciano che non risponde alle specifiche indicate nell’ordine. La fattura è stata pagata e i sudanesi chiedono la restituzione di quanto versato.
Comincia un contenzioso. Secondo la ricostruzione di Africa ExPress, Zennaro conferma la bontà di quanto da lui spedito in Sudan e sostiene che addirittura le qualità sono molto migliori di quelle richieste dai sudanesi.
Per un po’ di giorni la disputa va avanti con i sudanesi che gli fanno sapere che non intendono accettare una fornitura che ritengono scadente e comunque non conforme alle specifiche pattuite. Ribadiscono che vogliono indietro i soldi versati. In Sudan non è facile trovare la valuta “pesante” necessaria per portare a termine operazioni commerciali di questo genere con l’estero.
La Gelabi & Sons, per racimolare il denaro necessario, ha chiesto prestiti a compagnie private, la quali a loro volta reclamano il denaro. La Gelabi & Sons si trova quindi in serie difficoltà. Se a sua volta non piazza i trasformatori inadeguati alla NEC (ma non può farlo perché le specifiche sono diverse da quelle richieste), non può onorare i suoi debiti con i creditori.
Poiché la situazione non si sblocca i suoi dirigenti fanno a Zennaro una proposta “Vieni a Khartoum che risolviamo la questione. Meglio: concludiamo l’affare e poi per te c’è un altro ordine che vale due o tre volte il primo. Finalizzeremo anche questo secondo”.
L’occasione è ghiotta e Zennaro non intende lasciarsela sfuggire di mano. Così il 1° aprile vola in Sudan e comincia una serrata trattativa sia con la Gelabi & Sons sia con i suoi creditori. Raggiunge un mezzo accordo con la società, cui restituisce 400 mila euro, ma non soddisfa per niente i creditori, che lo denunciano alla polizia.
Quando sta per ripartire, all’aeroporto viene arrestato e portato alla stazione di pubblica sicurezza di Khartoum Nord, uno dei tre abitati in cui è divisa la capitale sudanese. Passare anche pochi giorni in una cella sudanese non è piacevole per nessuno, ma diventa un’occasione per riappacificarsi con un padre con cui non si va d’accordo.
Così Marco telefona a papà Cristiano che il 3 maggio si precipita dal figlio. Scende all’Hotel Acropol il cui proprietario, George Pagulatos – un signore greco che vive da decine d’anni a Khartoum, parla perfettamente italiano, conosce a menadito il Sudan e i suoi usi e costumi ed è amico di Africa ExPress – lo accoglie con grande attenzione e affetto.
I funzionari dell’ambasciata italiana, e in particolare l’ambasciatore Gianluigi Vassallo, si danno da fare per farlo uscire da quella cella e ci riescono. Il 30 maggio Zennaro non fa in tempo a mettere un piede fuori dalla stazione di polizia che però viene nuovamente arrestato, questa volta dagli agenti della caserma di Khartoum Centro.
Eseguono un mandato di cattura per una denuncia della Sheikh Eldin brothers, un’altra società che lamenta di aver pagato una commessa di trasformatori per 700 mila euro, ma di aver ricevuto a Khartoum, anche in questo caso, un materiale inutilizzabile perché non rispecchia le specifiche richieste nell’ordine.
Per risolvere la questione e dipanare l’intricata matassa la Farnesina da Roma manda un funzionario di alto grado, il direttore della divisione per gli italiani all’estero, Luigi Vignali che viene ricevuto anche dalla ministra degli Esteri, Mariam Sadiq Al Mahdi, che però lo informa di una terza causa pendente contro Zennaro intentata dalla Sheikh Eldin brothers.
Il 2 giugno i funzionari dell’ambasciata riescono a far trasferire Marco Zennaro, dalla cella della stazione di polizia di Khartoum centro al carcere di Omdurman (il terzo agglomerato della capitale sudanese).
Africa Express ha tentato di parlare con Marco Zennaro, con il padre Cristiano raggiungendoli al telefono cellulare in Sudan, e con il ministro Luigi Vignali. Nessuno di loro ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Purtroppo sembra che i due Zennaro, figlio e padre, nonostante dovrebbero conoscere il Sudan approfonditamente, sbagliano a litigare con tutti e, soprattutto a millantare un credito che non hanno. Secondo fonti sudanesi contattate da Africa ExPress, padre e figlio avrebbero assicurato di stare tranquilli, che l’Italia è pronta a pagare i danni provocati alle due società in cambio di un salvacondotto che gli permetta di lasciare l Paese.
La cosa non è stata gradita dalle autorità italiane che pure stanno facendo di tutto per tirare fuori di galera Zennaro. Gli inquirenti del Paese africano stanno valutando se sia il caso di trasferire l’italiano agli arresti domiciliari in attesa che le vicenda si concluda. Come? “Restituendo il denaro che ci ha fraudolentemente sottratto”, insistono a Khartoum.
Massimo A. Alberizzi
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