10 maggio 2021
Un centinaio di persone sono state cacciate da Biramabougou, nella regione di Kayes (Mali), perchè si sono rifiutate di riconoscere lo status di schiavismo per discendenza, imposta dalle norme tradizionali che ancora vengono applicate nelle zone rurali.
Costretti a fuggire, gli ex schiavi hanno trovato rifugio a Bamako, in una zona chiamata “Città dei bambini”. Tra le persone cacciate ci sono anche 18 donne e 53 minori. “Non mi sono mai allontanata dal mio villaggio – ha raccontato un giovane – ma ora sono stato obbligato ad andarmene e non vi potrò più fare ritorno . “Ci hanno cacciato, hanno detto che siamo i loro schiavi e dobbiamo rispettare usi e costumi”, ha aggiunto.
Ancora oggi, in alcuni villaggi della regione la società è suddivisa in caste. I discendenti degli schiavi oggi sono persone libere sulla carta e dunque rifiutano categoricamente di essere apostrofati come “schiavi”. La schiavitù è stata abolita nel 1905 nella ex colonia francese.
L’associazione Gambana, creata nel 2017, con il nome Raggruppamento maliano per la fraternità e il progresso, lotta contro le conseguenze dello schiavismo. Cercano di portare un messaggio chiaro: Tutti gli uomini sono uguali. Mady Sidibé, portavoce di Gambana, ha chiarito che per alcuni la voglia di emancipazione degli ex schiavi è vista piuttosto come una rivolta contro usi e costumi.
E Aguibou Bouaré, presidente del Consiglio nazionale per i diritti umani ha spiegato che molti ex schiavi vengono trattati malissimo, non possono recarsi al mercato o a pregare nelle moschee; ci sono ancora troppi abusi, violazioni e privazioni.
Eppure tempo fa il governo di transizione del Mali, dietro consiglio dell’Ufficio dell’ ONU per i Diritti Umani, aveva inviato un folto gruppo di assistenti legali nella regione di Kayes per informare e sensibilizzare la popolazione sullo “schiavismo per discendenza”. E alla luce dei fatti, il loro impegno e il loro intervento è stato ignorato da leader religiosi e capi locali.
Africa ExPress
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