Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
Genova, 7 maggio 2021
6 maggio 2021, 17 febbraio 2020, 20 maggio 2019: sono tre le date dei traffici di armi tra Usa e Arabia Saudita captate dai lavoratori portuali d’Europa. Tra i porti di Le Havre, Santander, Anversa, Marsiglia, Genova corre da anni un tamtam tra i lavoratori portuali non appena “intercettano” una nave che porta armi verso Oriente, verso la Siria, verso la Yemen dove c’è una guerra cruenta civile dal 2015, cui partecipa attivamente anche la confinante Arabia Saudita o verso la Libia.
A Genova, grosso modo, il traffico passa sempre nella zona del porto di Sampierdarena non lontano dalla Lanterna. In tre casi documentati dal terminal GMT (controllato da C. Steinweg di Rotterdam) per conto dell’agenzia marittima Delta. E armi, generatori e carri armati viaggiano sempre su navi della compagnia nazionale saudita Bahri. Le navi hanno vari nomi che seguono quel Bahri che in arabo vuol dire “di mare”. Sono sempre piuttosto piccole, dei cargo ro-ro.
Già nel maggio 2019 ci furono proteste. La nave Bahri nel porto belga di Anversa aveva caricato munizioni da cannone. Con quel presupposto i lavoratori portuali della Compagnia unica Culmv si rifiutarono di caricare carri armati fasciati in una carta lucente dorata a bordo. Carri armati revisionati nel bresciano che dovevano essere imbarcati a Genova. A protestare coi portuali c’erano allora le Acli, pacifisti e ambientalisti. Alcune associazioni come Anpi e Cgil andarono in Prefettura il giorno prima dell’arrivo della nave a chiedere che sia rispettato l’art. 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra) ed ebbero rassicurazioni sul fatto che sarebbe stato caricato solo materiale civile.
Per non far salire a bordo un generatore elettrico prodotto dalla Teknel, società specializzata in servizi logistici e tecnologie militari, viene organizzata una protesta, partecipata dentro il porto a ridosso del terminal. I lavoratori possono incrociare le braccia anche perché allora la Cgil aveva anche indetto uno sciopero. Nel parapiglia della protesta arriva un camioncino che fornisce di alimenti i marittimi a bordo. Scarica uova e arriva da Livorno. Finisce che i carri armati filano fuori dal porto genovese via terra e raggiungono La Spezia, dove vengono spediti dal porto militare di La Spezia.
Il 18 gennaio 2020 passa una Bahri Hofuf (la seconda parola è appunto il nome della nave) che dopo Genova fa uno scalo in Turchia a Iskerdun e poi si dirige verso Jeddah. Con la guerra siriana in corso e il conflitto dei turchi contro i curdi non è difficile capire a che cosa poteva servire lo scalo. Qualcuno riesce anche a scattare foto di che cosa c’è a bordo. Tra l’altro alcuni elicotteri da guerra Boeing Chinook CH-47 destinati all’Indian Air Force che verranno poi sbarcati, nel proseguo del viaggio, a Munda nel Gujarat.
Il 17 febbraio 2020 stessa scena. A Genova, sempre al GMT, ripassa una nave, la Bahri (sempre la Yambu) che poco prima ha attraccato al porto tedesco di Bremerhaven e a quello belga di Anversa. Questa volta in Italia, apparentemente, deve caricare impianti di desalinizzazione. I portuali però non si fidano, sono sempre in fermento, aderiscono varie sigle da Emergency a Medici senza Frontiere, le associazioni pacifiste genovesi, gli antifascisti e gli anarchici mescolati agli scout. E nuovamente si impedisce il carico.
E ora si ripete il film. Ai giornali ieri è arrivata una foto con dei carri armati dentro la stiva della Bahri Jeddah nel porto di Genova (come potete vedere da Marine Traffic https://www.marinetraffic.com/en/ais/details/ports/224). E’ sempre un cargo ro-ro (https://www.marinetraffic.com/en/ais/details/ships/shipid:475452/mmsi:403531001/imo:9626522/vessel:BAHRI_JEDDAHD).
Secondo quanto riporta il quotidiano genovese Il Secolo XIX l’amministratore delegato di Genoa Metal Terminal, Andrea Bartalini, non ha voluto commentare il carico della nave. Il presidente dell’Autorità portuale Genova-Savona, Paolo Emilio Signorini, sostiene che l’Autorità non è competente della merce in transito, né di quella imbarcata in porto (testuale: “Come autorizzazioni legate alla merceologia in transito oppure che viene imbarcata in porto non siamo competenti”). La Capitaneria di porto dice che si occupa solo della sicurezza della nave.
Quelli che continuano a protestare sono i lavoratori portuali della sigla Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali), usciti da tempo dalla Cgil. Alcuni di loro sono indagati e recentemente subìto perquisizioni domiciliari proprio per aver portato avanti le proteste contro le navi della guerra nel 2019. L’accusa è di attentato alla sicurezza dei trasporti. I cronisti nelle proteste videro partire razzi di segnalazione usati regolarmente nella navigazione depotenziati e mortaretti che tra l’altro finirono in mare. Ma in un’intercettazione qualcuno parla di “razzi micidiali” e la frase è stata presa sul serio dagli investigatori.
Chi sa come funziona un porto, sa anche che basterebbe guardare le polizze di carico delle navi per vedere che cosa descrivono e quali rotte hanno in programma le navi in questione. Anche se sappiamo che nella guerra irachena comunque tante armi passarono con la dicitura ‘merci varie”.
Alessandra Fava
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