Cornelia I. Toelgyes
26 aprile 2021
In Etiopia mancano all’appello 8 mila rifugiati eritrei che avevano cercato protezione nel Tigray. Lo afferma Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
Prima dell’inizio della guerra in Tigray (4 novembre 2020), l’Etiopia ospitava ben 96mila rifugiati eritrei in 4 campi. Con l’intensificarsi del conflitto, Shimelba e Hitsats, due delle aree per i profughi, scappati dal regime di Asmara, sono stati distrutti; vi vivevano 20mila persone. Nel frattempo l’Agenzia dell’ONU è riuscita a riprendere i contatti con 12 mila di essi, mentre non si sa nulla della sorte di altri 8 mila.
“E’ possibile – ha specificato Grandi – che molti di essi siano da qualche parte nel Tigray, in zone non accessibili agli operatori umanitari, ma altri eritrei ci hanno fatto sapere che, specie all’inizio del conflitto, un certo numero di persone è stato deportato nel Paese d’origine dalle truppe eritree che ancora oggi si trovano nel Tigray. A tutt’oggi non so se ci sono stati rimpatri forzati di massa o se si tratta di casi isolati, ma di fatto è successo”.
Lo scorso febbraio, Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo e presidente dell’Agenzia Habeshia, aveva già denunciato il rimpatrio forzato di migliaia di eritrei dall’ Etiopia, la maggior parte viveva appunto nei campi di Shimelba e Hitsats, come confermato ora dal capo dell’UNHCR.
E Grandi ha chiarito che l’ONU ha richiesto l’apertura di un’inchiesta internazionale, libera e indipendente volta a far luce sulla sorte e su eventuali abusi commessi nei confronti dei profughi eritrei.
Dopo mesi di silenzio, il regime di Asmara ha finalmente ammesso ufficialmente la presenza delle sue truppe nel Tigray, in Etiopia in una lettera del 18 aprile scorso, firmata da Sophia Tesfamariam, ambasciatrice eritrea accreditata al Palazzo di Vetro, indirizzata al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Nella missiva, resa pubblica da ministro dell’Informazione, Yemane Ghebremeskel, il governo promette il ritiro dei propri militari. Ovviamente il ministro ha negato tutte le pesanti accuse di violazione dei diritti umani rivolte alle forze armate del suo Paese.
Sia Abiy Ahmed, primo ministro etiopico che Isaias Afewerki, presidente dell’Eritrea, avevano negato per mesi la stretta collaborazione in questa sanguinosa guerra. Eppure tutti erano a conoscenza della presenza delle truppe eritree nel Tigray e nell’Amhara, che confina a sud con il Tigray. Erano emerse chiare testimonianze di residenti, gruppi di difesa per i diritti umani, diplomatici e addirittura di responsabili e militari etiopici, corredate anche da prove.
Il 28 novembre Abiy aveva annunciato la vittoria sul TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray), dopo la presa del capoluogo Makallé. La guerra a tutt’oggi non è finita e i militari eritrei continuano a essere accusati di violenze, stupri e massacri.
Davanti al Consiglio di Sicurezza Mark Lowcock, coordinatore di OCHA (l’Ufficio ONU per gli Affari Umanitari), ha però confermato che finora non esiste nessuna prova tangibile che le truppe di Asmara si siano ritirate. “Anzi – ha aggiunto – gli operatori umanitari continuano a segnalare altre atrocità”, che, secondo Lowcock, sono state commesse dai militari eritrei. Il capo di OCHA ha precisato che gli sfollati nel Tigray sono 1,7 milioni (dati di fine marzo 2021) e sono ben 4,7 milioni le persone, su una popolazione di 6 milioni, che necessitano aiuti umanitari. “Ho avuto informazioni che alcuni sfollati stanno morendo di fame”, ha asserito Lowcook.
Naturalmente la stampa di Addis Ababa ha negato le ultime di dichiarazioni di OCHA, apostrofandole menzognere, volte a infangare l’immagine del Paese. Ma Abadi Girmay, responsabile per l’agricoltura del governo ad interim del Tigray, ha detto di essere molto preoccupato, esiste l’effettivo rischio di una crisi che potrebbe durare parecchi anni se i contadini non potranno riprendere il lavoro nei campi.
Intanto Washington ha nominato Jeffrey Feltman – un diplomatico di carriera con un curriculum di tutto rispetto – come inviato speciale per il Corno d’Africa.
Antony Blinken, segretario di Stato americano teme infatti un escalation dei conflitti nella zona, come appunto quello nel Tigray, le tensioni tra Addis Ababa e Khartoum per le dispute dei confini e naturalmente la questione del GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam) che coinvolgono Egitto, Sudan e Etiopia.
Con la nomina di Feltman, l’amministrazione Biden lancia un chiaro messaggio: maggiore presenza in Africa sia nella lotta contro il terrorismo che sul piano umanitario e nella difesa dei diritti umani.
Il Corno d’Africa è una regione strategica per Washington, non solo per la sua posizione tra Africa e Medio-oriente. Difatti gli USA sono già molto presenti nella zona, sia dal punto di vista militare che economico, e ovviamente, vogliono mantenere questa loro influenza.
Cornelia I. Toelgyes
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