Matteo Giusti
23 aprile 2021
La morte improvvisa dell’appena rieletto presidente del Ciad Idriss Deby Itno potrebbe riaprire la via della lotta politica al vecchio combattente Babà Laddè. Questo strenuo avversario del defunto presidente ciadiano dal suo esilio in Senegal aveva già provato a partecipare alle elezioni dell’11 aprile, ma per motivi burocratici il suo partito era stato escluso dalla corsa alle presidenziali.
La storia di Babà Laddè, un nome che significa letteralmente “padre della boscaglia”, ma in realtà sta a significare leone nella lingua del popolo Fulani, parte dalla fine degli anni ’90, quando dopo un passato da gendarme nel governo ciadiano fonda una milizia chiamata Fronte Popolare per la Riparazione (Front Populaire pour la Redressement) e dopo essere stato brevemente arrestato ripara in Nigeria. Mahamat Abdoul Kadre Oumar, questo il vero nome dell’autoproclamato generale Babà Laddè, si è erto a difensore dei diritti del popolo Fulani, un’etnia di pastori sparpagliata nella fascia di Paesi che compongono l’Africa Centrale.
Questo popolo nomade, meglio conosciuto nei Paesi francofoni come pastori Peul, una parola che significa uomini liberi, oscilla fra i 6 e i 18 milioni di appartenenti ed è di religione musulmano sunnita.
Baba Laddè, dopo un lungo periodo di silenzio, riappare in Darfur nel 2006 dove agisce insieme a diversi gruppi ribelli, fino al 2009 quando viene arrestato nella Repubblica Centrafricana dai militari del Ciad. Fugge ancora una volta e torna nel nord del Ciad dove riorganizza i suoi guerriglieri costringendo migliaia di persone ad abbandonare i propri villaggi. Nel 2011 lancia anche una sorta di programma politico che vuole unire i movimenti dell’Ogaden, del Fronte Polisario e dei Tuareg, con l’obiettivo di rovesciare i governi di Ciad e Repubblica Centrafricana.
Il presidente Idriss Deby lo ha sempre e solo definito come un bandito trafficante di avorio, senza mai riconoscergli nessuna vocazione politica, ma nel 2012 i due firmano una tregua nella quale Babà Laddè rinuncia formalmente alla lotta armata. Dopo una sua nomina nel gabinetto del primo ministro e una nuova peregrinazione di auto-esilio l’autoproclamato difensore dei popolo Peul torna in Ciad e diventa prefetto di una provincia nel nord del Paese.
Dura poco, e nel novembre del 2014 viene arrestato questa volta seriamente dai caschi blu della Minusca, la missione dell’Onu in Repubblica Centrafricana, dove è diventato uno dei maggiori responsabili della sanguinosa guerra civile centrafricana.
Estradato in Ciad viene condannato nel 2018 a otto anni di carcere per ribellione e stupro di massa, ma dopo due anni viene graziato dal solito Idriss Deby. Da settembre 2020 Babà Laddè si sposta, con la scusa di aver bisogno di cure dopo la lunga carcerazione, prima in Camerun, dove il sodale di Deby, Paul Biya lo tiene d’occhio e lo costringe ben presto a traslocare. Da qui finisce in Nigeria, dove mantiene una vecchia rete di contatti fra il suo popolo e lavora anche come consigliere del Presidente Buhari per arginare una rivolta di Fulani in una delle province del nord del Paese.
Ma Babà Laddè resta un personaggio ingombrante e potenzialmente deflagrante, così prima si sposta in Benin e poi a Dakar. Fa partire la sua offensiva mediatica scrivendo al governo locale, a quello della Repubblica Centrafricana, della Repubblica Popolare del Congo e alle ambasciate americana e francese. Tutto questo con il preciso obiettivo di tornare politicamente in campo alle presidenziali del Ciad. Un obiettivo, come detto, che non viene raggiunto, ma che non scoraggia l’ormai cinquantenne ex ribelle che, con abili mosse politiche, riusce a riavvicinarsi a Deby.
Ai primi di aprile infatti Babà Laddè inaspettatamente riappare in Ciad ad un incontro con il presidente nelle province meridionali, dove ribalta tutti i pronostici lodando il lavoro del padre-padrone del Ciad in vista del raggiungimento della pace nel Paese. Dichiara con enfasi che non vuole riportare nell’agone politico il suo partito, considerato ancora solo un movimento ribelle, ma che intende porsi al servizio del Ciad. Addirittura invita i suoi sostenitori a votare in massa Idriss Deby.
Ora però, dopo l’improvvisa morte del presidente del Paese, l’opposizione ciadiana, frammentata e litigiosa anche nelle ultime elezioni, chiede che il potere venga tolto ai militari e al figlio di Deby e consegnato al presidente dell’Assemblea Nazionale come prevede la costituzione, tutto ciò in vista di nuove elezioni. E anche il vecchio leone dei Fulani potrebbe avere la sua ultima occasione di ruggire a N’Djamena e questa volta senza impugnare le armi.
Matteo Giusti
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