Cornelia I. Toelgyes
11 aprile 2021
Le violenze non cessano, nella Repubblica Democratica del Congo. I gruppo armati – più di cento – che infestano le regioni orientali dell’enorme ex colonia belga taglieggiano la popolazione, ammazzano la gente, stuprano le donne e rapiscono i bambini per arruolarli come miliziani. Le notizie, spesso frammentarie e incomplete, che arrivano da quei territori, dove è stato brutalmente ammazzato il nostro ambasciatore, Luca Attanasio, la sua guardia del corpo, Vittorio Iovacci, e l’autista congolese impiegato dell’ONU, Mustapha Mialmbo, sono sempre più inquietanti. Il contingente delle Nazioni Unite, la MONUSCO (acronimo per: Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo), presente nel Paese con circa 12mila uomini, ha di fatto fallito il suo compito (cioè proteggere i civili) e così la popolazione è scesa nelle strade di Beni, Butembo e in altri villaggi, per chiedere il suo ritiro.
Nei giorni scorsi due persone sono morte in seguito alle proteste. Da quanto si apprende da un’agenzia battuta da Reuters ieri pomeriggio, militari di MONUSCA avrebbero aperto il fuoco contro i dimostranti in un zona rurale nel territorio di Oicha, quando hanno tentato incendiare due ponti che portano alla base dei caschi blu. La notizia è stata confermata dal sindaco della cittadina, Nicolas Kikuku, che ha aggiunto: “I caschi blu non hanno tollerato la protesta e i soldati hanno iniziato a sparare”.
Un attivista del luogo e Rosette Kavula, vice-amministratrice della zona di Beni, hanno denunciato che le truppe della MONUSCO hanno ucciso un manifestante. Il portavoce del contingente dell’ONU, Mathias Gillmann, ha raccontato che è stata aperta un’inchiesta sull’accaduto.
Una persona è rimasta uccisa da un proiettile vagante durante le manifestazioni contro la forza multinazionale a Butembo, nel Nord-Kivu. Il capo della polizia locale, Jean-Paul Ngoma, ha spiegato che mentre i suoi uomini stavano rimuovendo una barricata, i manifestanti hanno iniziato a lanciare pietre contro gli agenti. Ngoma non ha però saputo precisare chi avesse sparato.
Uno dei partecipanti alla protesta ha specificato che un poliziotto avrebbe fatto partire il colpo mentre era distante solo 6 metri dai manifestanti. “L’unica colpa del nostro compagno ucciso è stata quella di chiedere alle truppe dell’ONU di allontanarsi dalla nostra città, perchè non fanno assolutamente nulla per proteggere i civili dai continui massacri”.
Proteste simili si sono svolte in diverse città del Nord-Kivu nelle ultime settimane. A Beni giovedì scorso sono state arrestate decine di persone. Anche in quel caso da polizia ha sparato per aria, ma con proiettili veri.
Clovis Mutsova, giovane attivista di LUCHA (acronimo francese per Lutte Pour Le Changement) ha spiegato: “Chiediamo semplicemente due cose: MONUSCO deve andarsene e il nostro governo deve assumersi le proprie responsabilità affinché possiamo vivere in pace”.
MONUSCO, tramite il suo portavoce, Mathias Gillmann, ha ribadito alle proteste dei manifestanti: “Siamo qui perché invitati del governo di Kinshasa. Non spetta a noi decidere se andare via o restare”.
La rivolta contro i caschi blu non è nuova. Nel 2019 sono morte parecchie persone durante tali manifestazioni, sia a Goma sia a Beni.
Tra i gruppi armati che operano nell’est della ex colonia belga, c’è anche l’Allied Democratic Forces (ADF) – un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995 – responsabile della maggior parte degli attacchi nella zona. Secondo MONUSCO, solo nei primi tre mesi di quest’anno avrebbe ucciso oltre 200 persone e ne ha costrette alla fuga quasi 40mila.
L’ ADF è accusata di aver ucciso durante un’aggressione della scorsa settimana, 23 civili nel villaggio di Beu Manyama-Moliso, situato nella zona di Beni, nonché di aver massacrato proprio ieri sera a due chilometri dal villaggio di Mutwanga, 3 soldati delle Forze Armate del Congo (FARDC). Godefroid Siku, responsabile amministrativo dell’area di Ruwenzori (Beni), spiegato ai giornalisti locali che lo scambio a fuoco tra ribelli e militari regolari si è protratto per diverse ore.
E sempre venerdì, secondo il giornale online Actualité CD, durante un’imboscata in un’altra zona di Beni i miliziani di ADF avrebbero ammazzato anche 6 civili e bruciato due veicoli commerciali.
Una recente analisi della FAO , agenzia dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura, spiega che 27 milioni di congolesi, vale a dire quasi uno su tre, sono colpiti da un elevato grado di insicurezza alimentare. Insomma manca poco alla carestia.
I maggiori responsabili di questo disastro umanitario – oltre all’insicurezza e l’allontanamento dal luogo di residenza per lo stato di emergenza in alcune zone – sono le restrizioni dovute al coronavirus. I più colpiti sono ovviamente gli sfollati, i rifugiati e coloro che già si trovavano in situazioni precarie prima della pandemia.
Nourou Macki Tall, rappresentante della FAO nel Congo-K chiede aiuti immediati sotto forma di viveri o cash laddove i mercati sono ancora aperti. E ha aggiunto: “E’ importante fornire anche i mezzi necessari alle popolazioni agricole, in quanto l’80 percento dei contadini non dispone di sementi di qualità”.
15 aprile 2021
Jean Pierre Wumbi, commissario di polizia della regione, ha confermato la morte di una persona a Oicha e ha aggiunte: “Le forze di sicurezza stavano svolgendo il loro dovere”, ma non ha voluto rilasciare altri commenti.
Reuters ha rettificato la versione data dal sindaco di Oicha, Nicolas Kikuku: “Mentre la polizia cercava di disperdere la folla e di liberare il ponte dalle barricate, un giovane è stato ucciso”.
Cornelia I. Toelgyes
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