Cornelia I. Toelgyes
29 marzo 2021
Il senatore Chris Coons, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante la sua visita a Addis Ababa ha incontrato il ministro degli Esteri etiopico, Demeke Mekonnen.
Durante i colloqui sono state toccate diverse questioni importanti – oltre alla guerra in Tigray che miete morti e sfollati dall’inizio del sanguinoso conflitto – come la disputa di confine tra Etiopia e Sudan e naturalmente la scottante controversia riguardante il Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) che coinvolge, oltre ovviamente Addis Ababa, anche Sudan e Egitto.
Grand Ethiopian Renaissance Dam
Il 15 luglio dell’anno scorso l’Etiopia ha iniziato il riempimento della grande diga africana (la Grand Ethiopian Renaissance Dam) senza nessun accordo con Sudan ed Egitto, che temono una forte riduzione delle acque del Nilo quando arriva nei loro territori. Gli ultimi negoziati erano falliti il giorno precedente.
Una volta terminata la costruzione del ciclopico impianto, il bacino avrà una lunghezza di 18 chilometri e una profondità di 155 metri, con una capienza di circa 74 milioni di metri cubi d’acqua, che saranno sfruttati per produrre seimila megawatt di energia elettrica, l’equivalente di sei reattori nucleari. Sarà la diga più imponente di tutto il continente africano, pari solo a quella di Inga, sul fiume Congo, nel Congo Kinshasa, che funziona però al 10/15 per cento della sua capacità.
Attualmente lo stato dei lavori è pari al 78,3 per cento e, secondo fonti ufficiali, per l’inizio della prossima stagione delle piogge si dovrebbe raggiungere l’82 per cento. Il totale completamento del progetto idroelettrico è previsto per il 2023.
Se da un lato l’Etiopia non vede l’ora di riempire completamente il bacino, il Cairo e Khartoum hanno paura che una forte riduzione del gettito delle acque del Nilo possa danneggiare le proprie economie. Finora tra i tre Stati tutti tentativi di arrivare a una soluzione sono falliti.
All’inizio del mese il presidente egiziano, Abdel Fattah el-Sisi si è recato a Khartoum dove ha incontrato Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio Supremo, il primo ministro Abdalla Hamdok e il vice-capo del Consiglio Supremo, Hamdan Dagal.
L’Egitto ha da sempre sollevato perplessità sulla realizzazione della GERD e ritiene il progetto come una minaccia esistenziale. Anche il Sudan ha espresso grande preoccupazione per il riempimento della diga, in quanto potrebbe avere conseguenze negative per 20 milioni dei suoi cittadini, oltre la metà della popolazione del Paese. Entrambi i governi non accettano di essere stati messi di fronte a un fatto compiuto, senza aver tenuto conto delle esigenze e dei diritti dei due Paesi a valle del fiume.
Recentemente proprio il Sudan, appoggiato dall’Egitto, ha proposto una mediazione congiunta di Stati Uniti, ONU, Unione Africana e Unione Europea. Addis Abba ha tuttavia rifiutato le richieste sudanesi, affermando di riconoscere solo il ruolo dell’Unione Africana, che ha già preso parte alle trattative in corso.
Venerdì scorso una folta delegazione sudanese, composta dal ministro degli Esteri Mariam Al-Mahdi, da quelli della Difesa Yassin Ibrahim, e della Giustizia Nasr al-Din Abdel Bari, dal vice-direttore dell’Intelligence, Ahmed Ibrahim Mufaddal, e dal capo della Commissione per i confini, Muaz Tango si è recata a Abu Dhabi per cercare con gli Emirati Arabi Uniti, che si sono offerti come mediatori, una soluzione per i problemi pendenti con l’Etiopia.
Da quanto si apprende da fonti ben informate, l’EAU ha proposto tra l’altro nuovi investimenti nell’agricoltura. Visto il continuo rialzo dei prezzi di generi alimentari, i Paesi del Golfo cercano partecipazioni in tale settore, in particolare nel Corno d’Africa.
D’altronde, il principe ereditario dell’EAU, Mohammed bin Zayed, in occasione di una sua visita a Addis Ababa nel 2018, aveva già siglato accordi con il governo etiopico per svariati investimenti, tra questi anche oltre 20 riguardanti progetti agricoli.
Disputa confine Etiopia-Sudan: la piana di al-Fashqa
Da anni i due Paesi si contendono la piana di al-Fashqa, territorio particolarmente fertile, coltivato per lo più da contadini etiopici, ma che il governo di Khartoum sostiene appartenga al Sudan. L’area si estende su 12 mila chilometri quadrati e si trova tra due fiumi, da un lato confina con il nord della regione Amhara e il Tigray, dall’altra con lo stato sudanese Gedaref.
Abiy Ahmed, primo ministro etiopico, ha riconosciuto l’accordo siglato nel 1972 tra i due Stati, nel quale è stipulato che i territori in questione appartengono al Sudan, ma Khartoum accusa Addis Ababa di sostenere e di appoggiare le bande di banditi, chiamati volgarmente shifta (cioè briagnti), che, specie negli ultimi mesi avrebbero sconfinato ripetutamente dall’Etiopia, rapendo contadini e depredandoli dei loro beni.
L’escalation della disputa si è aggravata alla fine di dicembre con l’infiammarsi del conflitto nel Tigray, quando migliaia e migliaia di etiopi in fuga dalla guerra hanno attraversato il fiume per cercare protezione nel vicino Sudan, dove a tutt’oggi si trovano oltre 60 mila profughi.
Da allora sia Addis Ababa che Khartoum hanno dispiegato i loro soldati nella zona che in alcune occasioni si sono scontrati, provocando morti e feriti sia da una parte che dall’altra.
E’ indispensabile trovare una soluzione pacifica. Un contrasto militare non è assolutamente nell’interesse di nessuna delle parti in questione: sarebbe un rischio troppo grande per entrambi.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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