Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
25 marzo 2021
Dopo un lungo silenzio, il primo ministro Abiy Ahmed ha finalmente riconosciuto – ciò che il mondo intero già sapeva – che le truppe eritree hanno partecipato attivamente al conflitto che si sta consumando dal 4 novembre 2020 nel Tigray. Nel suo ultimo messaggio di fine novembre il leader etiopico, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2019, aveva dichiarato con enfasi “La guerra è finita, non ci sono state vittime civili”.
Martedì il premier ha dovuto ammettere che la situazione in fin dei conti non è tanto rosea e ha spiegato pubblicamente: “Coloro che hanno commesso atrocità, stuprato le nostre sorelle nel Tigray, saranno puniti severamente, giudicati da un tribunale. I militari avevano ricevuto l’ordine di contrastare il partito TPLF (acronimo inglese per Tigray People’s Liberation Front, partito al potere nella regione n.d.r.), non di accanirsi contro la popolazione civile”.
“L’Eritrea è intervenuta nel Tigray, perché Asmara aveva temuto per la propria sicurezza nazionale – ha spiegato Abiy aggiungendo – Abbiamo comunicato al governo eritreo le nostre perplessità su quanto è avvenuto: sospetti massacri, saccheggi, stupri. Hanno respinto qualsiasi responsabilità. Ma hanno promesso che avrebbero punito ogni soldato eritreo che si è macchiato di tali crimini”.
Promesse che finora non hanno trovato un gran seguito, visto quanto è avvenuto martedì scorso lungo la strada che porta da Makallé, il capoluogo del Tigray a Adigrat.
Karlin Kleijer, direttore per le emergenze di Medici Senza Frontiere, ha fatto sapere che tre membri dello staff che viaggiavano su una auto con il logo dell’organizzazione, sono stati fermati da militari etiopici. Insieme a loro sono stati bloccati anche minibus carichi di viaggiatori, costretti a scendere dai mezzi. Gli uomini sono stati raggruppati da una parte, mentre le donne e i bambini hanno dovuto allontanarsi. Pochi attimi e poi almeno 4 uomini sono stati brutalmente trucidati, crivellati dalle pallottole.
Il team di MSF ha poi ricevuto il permesso di procedere, ma partendo ha visto i cadaveri sul bordo della strada. Poco dopo la loro vettura è stata bloccata nuovamente da altri militari che si sono accaniti contro l’autista di MSF. L’uomo è stato minacciato di morte e colpito selvaggiamente più volte con il calcio del fucile. Spaventato e ferito ha potuto infine ricongiungersi con gli operatori dell’organizzazione.
Una storia nella storia. E’ ciò che succede quotidianamente alla popolazione civile nella regione, con la differenza che stavolta i testimoni sono stati i membri di MSF. Altri operatori umanitari sono stati ammazzati brutalmente qualche mese fa, non hanno più potuto raccontare ciò che hanno visto: 3 erano addetti alla sicurezza del Danish Refugee Council, mentre il quarto era un funzionario di International Rescue Committee.
Malgrado le pressioni della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti secondo cui le forze della dittatura eritrea devono lasciare immediatamente il Tigray. E sia l’ONU e sia le agenzie del Palazzo di Vetro come UNICEF, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e non per ultimo l’Alto Commissariato della Croce Rossa Internazionale hanno denunciato attacchi indiscriminati ai civili, violenze e stupri alle donne.
Intanto OCHA (acronimo inglese per Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari n.d.r.) ha fatto sapere nel suo ultimo rapporto del 22 marzo che la situazione umanitaria nel Tigray è tutt’ora allarmante. Gli scontri si susseguono, saccheggi e occupazione di edifici privati sono all’ordine del giorno.
E, ha precisato, che continuano a arrivare sfollati dalle campagne nelle città come Abi-Adi, Adwa, Axum e Scirè, dove è davvero difficile trovare una sistemazione dignitosa nonostante siano visibilmente affamati, dimagriti e disidratati.
I tigrini, che rappresentano più o meno il 6 per cento della popolazione, hanno dominato la scena politica e militare del Paese fino all’arrivo di Abiy, un oromo, salito al potere nell’aprile 2018, designato dalla coalizione al governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn. Il nuovo governo ha rimosso la vecchia leadership, per lo più appartenenti al TPLF, accusandola di corruzione e malversazione. Altri sono finiti in galera per crimini come torture e uccisioni.
I dissensi tra Addis Ababa e Makallé si sono intensificati a settembre, quando il Tigray ha indetto votazioni regionali contro il parere del governo centrale e Abiy ha lanciato un’offensiva nella regione ribelle il 4 novembre scorso in seguito a un attacco effettuato da TPLF contro una base di Makallé.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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