8 marzo 2021
Piange la giovane mamma mentre allatta il suo bimbo di nemmeno due mesi che presto dovrà lasciare all’orfanotrofio. E’ una creatura del “peccato”. Non potrà crescere con lei, con gli altri fratellini.
Sì, il bimbo di Nadine (nome di fantasia) è frutto di incesto, una parola che in Burkina Faso, come in quasi tutto il mondo è vietato pronunciare. Tutt’ora, nel 2021 resta un tabù. Quasi un anno fa la donna è stata violentata dal cugino. Subito dopo si è accorta di essere incinta. Subito ha capito che doveva allontanarsi da casa, lasciare gli altri sei figli.
Ha chiesto ospitalità a una sorella che vive a Yako, una città mineraria nella nel nord del Burkina Faso, in provincia di Passoré. Una volta partorito ha dovuto portare suo figlio in uno degli orfanotrofi della città, dove le hanno concesso di restare qualche settimana con il neonato. Nadine aveva paura che il marito avrebbe chiesto il divorzio. Non lo vede da 4 anni, perché lavora come bracciante in una piantagione in Costa d’Avorio e non gli ha mai “confessato” di essere stata violentata. Ma il cognato l’ha rassicurata: ”Ti riprenderà se dai via il bambino e se otterrai il perdono”.
Se le madri che hanno subito un rapporto incestuoso vogliono ritornare a casa, devono chiedere perdono alla famiglia del marito e al capo-villaggio. Una cerimonia complessa che coinvolge polli e pecore. Se questi animali, uccidendoli, cadono a terra con la parte posteriore, significa che le scuse sono sincere e si può concedere il perdono alla donna; se per caso l’animale invece stramazza in giù con il muso, la cerimonia deve essere ripetuta finché la morte non sopraggiunge nella corretta posizione.
L’incesto è vietato in Burkina Faso e, secondo il Codice penale, è punibile fino a sei anni di prigione e una multa che può superare anche 9 mila dollari. Ma un conto è la legge, un conto le conseguenze reali e sono proprio le vittime – donne e bambini – a pagare il prezzo più alto di queste violenze familiari.
In tutto il Paese, ma soprattutto tra i mossi, il gruppo etnico più numeroso (rappresenta il 40 per cento della popolazione del Burkina Faso), donne o ragazze rimaste gravide dopo un incesto, devono lasciare la loro casa, vengono bandite dalla famiglia, sono costrette a dare via il neonato. Perché, secondo un’antica credenza popolare, il figlio frutto di un rapporto endogamo è una creatura maledetta e, se resta nel villaggio o se la donna ritorna senza essere stata perdonata dal capo-villaggio, chiunque sta vicino a loro, morirà.
Tale usanza distrugge le famiglie, ma è la donna e suo figlio che pagano il prezzo più alto: lei emarginata, sola, rifiutata dalla propria famiglia, non potrà riprendere mai più una vita normale, mentre il piccolo crescerà senza genitori e parenti.
Secondo stime governative, specie nella provincia di Passoré, i casi di incesto sono in continuo aumento. Ma ovviamente non tutti vengono denunciati. Lo conferma il direttore di uno degli orfanatrofi di Yako: “Negli ultimi due anni abbiamo accolto 10 bambini nati da tali rapporti, mentre in precedenza erano solo 2 ogni 12 mesi”.
E Gaston Nassouri, responsabile del governo per gli Affari umanitari e delle donne nella provincia di Passoré, ha sottolineato: “E’ un problema sociale che affligge le nostre comunità e dunque non può essere risolto da un giorno all’altro”.
In uno degli orfanotrofi della zona, la metà dei 21 piccoli presenti sono nati da un rapporto incestuoso. Spesso le madri sono poco più che bambine. Nessuna denuncia di stupro, eppure tutti sanno che è così, ma non si osa parlare. Nessuno è disposto a denunciare un membro della propria famiglia.
In passato le conseguenze per i bimbi erano ancora peggio: era usanza comune seppellirli ancora vivi o strangolarli con una corda appena nati. Ora vengono accolti negli orfanatrofi e a volte si concretizza persino un’adozione.
Africa Express
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