Massimo A. Alberizzi
27 febbraio 2021
Il ministero degli Esteri del Congo era perfettamente informato che l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e la sua guardia del corpo Vittorio Iacovacci erano diretti a Goma e, poiché sarebbero andati a Bukavu, avrebbero viaggiato nella zona orientale del Paese. Con loro c’era anche il console italiano a Kinshasa, Alfredo Russo.
Un documento di cui è venuto in possesso Africa ExPress, e che riproduciamo qui, mostra come la nostra ambasciata avesse chiesto alle autorità congolesi le garantige diplomatiche per il suo personale che si sarebbe imbarcato all’aeroporto N’Djili di Kinshasa. La nota chiedeva espressamente l’uso della sala diplomatica dello scalo e il rispetto della convenzione di Vienna secondo cui i bagagli dei diplomatici non vanno ispezionati. E probabile che nelle loro valigie si prevedeva di sistemare le armi del nostro carabiniere.
I nostri tre sarebbero partiti per Goma con un volo dell’ONU. In Africa è normalissimo per diplomatici, operatori umanitari ma anche giornalisti utilizzare gli aerei delle Nazioni Unte. Spesso sono gli unici disponibili e sono anche i più sicuri. Infatti le compagnie locali sia per motivi logistici (ritardi cronici) sia, soprattutto, per quelli di sicurezza (scarsa manutenzione) , sono battezzate sarcasticamente Maybe Airilines o Air Peut-être, cioè linee aeree “forse”, a seconda che ci si trovi in Paesi anglofoni o francofoni.
Come mostra il documento nelle nostre mani, l’ambasciatore italiano e i suoi due compagni erano prenotati su un volo UNHAS (che sta per United Nations Humanitarian Air Service), normalmente schedulato come un normale volo di linea. Non era stato organizzato per loro. Il pilota quindi si dovrebbe essere attenuto ai protocolli di sicurezza normali.
E’ sorprendente che alla nota verbale dell’ambasciata italiana, il ministero degli Esteri congolese abbia fatto seguire ieri sera un secco comunicato in cui si dice che l’ambasciatore, il console e il carabiniere non si sono mai presentati alla sala diplomatica dell’aeroporto N’Djili di Kinshasa e che gli addetti ai controlli non “li hanno mai visti imbarcare” su quel volo.
Quindi all’ultimo addio all’ambasciatore Luca Attanasio e al carabiniere Vittorio Iacovoni sono seguiti immediatamente liti e rimpalli di responsabilità. La colpa viene rimbalzata un po’ a caso pur di allontanarla da se stessi. Occorre quindi chiarire alcuni punti che appaiono affrontati con confusione e pressappochismo.
Le testimonianze concordano nel sostenere che l’ambasciatore Attanasio era conosciuto per la sua schiettezza e l’attenzione verso gli ultimi della Terra e, ovviamente. in Congo ne aveva trovati tanti cui rivolgere la sua attenzione. I congolesi – scriveva qualche anno fa il sociologo svizzero Jean Zigler – sono come un poveraccio seduto su una montagna d’oro. Verissimo. Il Paese è ricchissimo di risorse naturali, sfruttate da personaggi senza scrupoli che antepongono i loro interessi a quelli della gente. Organizzano e finanziano bande armate con l’intento di terrorizzare la popolazione e continuare i loro spesso inconfessabili affari.
Ma oltre che ricchissimo è anche vastissimo: l’ovest (dove si trova la capitale Kinshasa) e l’est, il nord e il sud sono lontanissimi tra loro. Con interessi diversi ma, soprattutto, battuti da gruppi armati diversi. E con leader locali diversi ognuno dei quali pensa alla propria sopravvivenza e al proprio arricchimento personale. Ciascuno ha una sua milizia privata dedita normalmente a saccheggi, vandalismi, stupri, torture e massacri.
Il governo centrale, a parole, controlla tutto il territorio ma in realtà ampie zone sfuggono alla sua amministrazione. Va aggiunto poi che il livello di corruzione è altissimo e ognuno cerca di accaparrarsi un briciolo di quella ricchezza del Paese che fa dei leader più in alto, plutocrati affamati e incontrollabili. Gli impiegati dello Stato, insegnanti, professori ma anche – e soprattutto – soldati e poliziotti, non vengono pagati e quindi sopravvivono taglieggiando la popolazione civile per procurarsi il salario negato. La violenza nel Paese è generalizzata.
Il video che qui vi presentiamo è illuminante: è stato girato qualche giorno fa e mostra una collina nel villaggio di Birava nel Sud Kivu. La popolazione locale ha scoperto un filone d’oro in superficie. Appena la voce si è diffusa la gente si è riversata sulla piccola montagnetta invadendola e cominciando a scavare. Poco dopo è arrivata la polizia allontanando tutti armi in pugno. E così gli agenti si sono impadroniti della miniera.
L’errore più grande che fa spesso chi parla di Congo è quello di considerarlo un Paese omogeneo. Invece non lo è. Non solo è grande ma è senza vie di comunicazione. Anzi, l’unica “autostrada” è rappresentata dal fiume Congo in gran parte navigabile.
Il vecchio dittatore Mobutu Sese Seko, caduto nel 1997, tutto sommato – e con il pugno di ferro – teneva in piedi il Paese. Ha applicato con meticolosità il principio “divide et impera”. Lasciava che qualcuno si arricchisse tanto lui era straricco da far impallidire i Paperoni nostrani. Concedeva ai suoi soldati libertà di saccheggio e di stupro, ma con parsimonia, cioè senza esagerare.
Il genocidio in Ruanda (del 1994) ha affondato il Paese – soprattutto la sua parte orientale – facendolo sprofondare ancora di più (se mai ce ne fosse stato bisogno) nell’inferno. I soldati del vecchio esercito ruandese (formato soprattutto da soldati e ufficiali hutu) sconfitti in patria si sono rifugiati nella ricca ex colonia Belga, inseguiti dai nuovi vincitori tutsi, guidati da Paul Kagame. Ora in quella fascia di territorio del Congo orientale, oltre alle bande di guerrieri tradizionali may-may, esoterici e intrisi di magia nera (may-may vuol dire acqua-acqua perché credono che le pallottole al contatto con la loro pelle si trasformino in acqua e quindi non penetrino il corpo), ci sono i residui delle milizie hutu. Poi drappelli dell’attuale esercito tutsi del Ruanda, gruppi dell’esercito del Congo (in teoria agli ordini del governo centrale di Kinshasa) e infine oltre cento, secondo i dati ONU, piccole bande armate di irregolari.
Gli hutu del Fronte Democratico per la Liberazione del Ruanda sono stati subito indicati come i responsabili dell’omicidio del nostro ambasciatore che, nonostante quanto sostenuto dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sembra proprio sia rimasto vittima di un’azione mirata. Certo, non un’esecuzione, se con questa parola si intende “ucciso da un colpo a bruciapelo” (infatti gli hanno sparato da lontano), ma l’agguato sembra sia stato preparato apposta per lui. Con un comunicato inviato anche ad Africa Express l’FDLR ha smentito ma restano ancora tante troppe domande per spiegare il perché di quell’odioso agguato.
A noi comunque non resta che sperare che l’assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci non si debba sommare ad altri misteri italiani.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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francamente non si capisce niente: quando, rispetto all'attentato, avrebbero dovuto fare il volo? Si spostavano in macchina perché non avevano preso il volo? Da dove dovevano partire per andare dove? Come si collega con l'attentato? Speriamo che anche questo non resti impunito