Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
27 febbraio 2021
La recente elezione della nuova leadership libica, avvenuta a Ginevra il 5 febbraio scorso, dovrà traghettare il Paese fino alle prossime elezioni, fissate per il 24 dicembre di quest’anno. Nessuno degli eletti pochi giorni fa, si candiderà.
Il capo del governo è ora Abdul Hamid Dbeibeh, un imprenditore di Misurata, mentre l’ex ambasciatore Mohammed Menfi è il capo del Consiglio presidenziale. Lo zio del neo primo ministro era compagno di scuola di Muhammar Gheddafi; il nipote, invece, ha ammesso di aver avuto contatti di lavoro, subito dopo la laurea in ingegneria conseguita in Canada, con Saif al Islam Gheddafi, uno dei figli dell’ex presidente libico, nel lontano 2007. Ma in un’intervista del 2018 ha specificato che da quella data in poi non avrebbe più avuto contatti con nessun membro della famiglia dell’ex indiscusso leader libico.
Mohammed Yunus al Manfi è originario dalla Cirenaica. Ex ambasciatore del suo Paese in Grecia, che lo ha espulso nel 2019 dopo la firma di un accordo molto discusso sulle zone economiche esclusive tra l’allora Governo di Unità Nazionale, presieduto da Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, e la Turchia.
Gli altri due eletti a Ginevra sono Abdullah Hussein al Lafi e Musa al Kuni. Entrambi svolgono funzione di vicepresidenti , il primo in rappresentanza per la Tripolitania e il secondo per il Fezzan.
Il nuovo governo dovrà affrontare non pochi problemi, tra questi anche la questione dei foreign fighters e mercenari (ora chiamati con un nome meni dispregiativo “contractor”) che mettono a rischio il nuovo cessate il fuoco, siglato dalla parti in causa lo scorso ottobre sempre a Ginevra. I mercenari combattono nell’ombra, senza alcuna etica ed è sempre attuale la loro descrizione di Nicolò Macchiavelli ne Il Principe: “Sono inutili e pericolosi, non hanno nessuna ambizione, sono senza disciplina e pronti a tradire”. Ma come in passato, anche oggi sono ancora protagonisti nei grandi conflitti.
E anche in Libia non mancano. Basti pensare al recente rapporto dell’ONU che evidenzia come il fondatore dei Blackwater, Erik Prince, sostenitore e alleato dell’ex presidente statunitense Donald Trump, abbia violato l’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro alla Libia. Nel fascicolo si evidenzia che Prince ha fornito uomini e armi a Khalifa Haftar, che ha tentato con tutte le forze di spodestare il governo di Unità Nazionale libico.
E a fine gennaio il governo di Washington ha chiesto che le forze russe e turche lascino immediatamente il Paese nordafricano. Infatti in Cirenaica i mercenari russi del gruppo Wagner sono schierati sul fronte di Haftar, mente a Tripoli ci sono i soldati di Ankara e le loro truppe alleate.
Il gruppo Wagner è un’organizzazione di mercenari dell’ex impero sovietico. I suoi paramilitari hanno giocato un ruolo strategico nell’Ucraina orientale (soprattutto quando la Crimea è stata invasa dalle truppe russe nel 2014) e in Siria, a difesa del dittatore Bashar al-Assad. Ma la loro espansione in Africa si è sviluppata soprattutto nella Repubblica Centrafricana e in Libia e in Sudan.
Malgrado il richiamo di Washington, proprio due giorni fa l’esercito libico ha detto di aver avvistato diversi camion di mercenari russi nei pressi di Sirte, mentre altri due gruppi sono stati visti lunga la strada che porta dalla città petrolifera Brega a Sirte e in direzione di Ajdabiya.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes
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