Cornelia I. Toelgyes
14 febbraio 2021
Cento giorni di guerra. Cento giorni di terrore, fame, stupri, morte. Il Tigray si è trasformato in un immenso campo di battaglia dove il prezzo più alto, ma non è una cosa nuova, è pagato dai civili. Il conflitto è cominciato il 4 novembre con l’invio nella provincia del nord del Paese dell’esercito di Addis Ababa, su ordine del primo ministro e premio Nobel per la Pace 2019 Abiy Ahmed.
Secondo l’UNHCR sono oltre 61mila coloro che sono fuggiti dal Tigray per cercare protezione e sicurezza nel vicino Sudan. La popolazione sudanese li ha accolti bene. Gran parte di essi – quasi 43mila – hanno attraversato il fiume Tekeze per raggiungere Hamdayet, una tranquilla cittadina nello stato di Kassala.
I profughi, tra loro anche centinaia di minori non accompagnati, hanno raccontato storie terrificanti. Una uomo, ancora terrorizzato, ha spiegato ai reporter del New York Times: “Tutti noi abbiamo temuto per le nostre vite. Bombardamenti, uccisioni indiscriminate, saccheggi, e durante la fuga abbiamo visto morti ovunque”.
UNHCR ha scortato gran parte rifugiati nei campi, altri hanno preferito restare nella cittadina di frontiera, approfittando dell’ospitalità degli abitanti, con la speranza di poter ritornare presto a casa.
Ad Hamdayet i residenti sono per lo più musulmani, commercianti di lingua araba, mentre gli etiopi sono cristiani, agricoltori e la loro lingua è diversa, ma i residenti hanno aperto senza esitazioni le proprie case, si sentono responsabili della vita di coloro che hanno dovuto abbandonare tutto pur di salvarsi. Eppure anche il Sudan non sta attraversando un periodo felice dal punto di vista economico. Il rincaro dei prezzi ha portato nuovamente la popolazione nelle piazze e sulle strade per chiedere migliori condizioni di vita. In passato le proteste sono sfociare poi in un golpe militare che ha deposto il dittatore Omar al-Bashir, rimasto al potere per oltre 30 anni.
Nel Tigray stesso la situazione si complica di giorno in giorno. Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo e presidente dell’Agenzia Habeshia, ha denunciato il rimpatrio forzato di migliaia di eritrei che avevano cercato protezione in Etiopia. I più vivevano nei campi per profughi di Schimelba e Hitsats. L’Etiopia ne ospitava 96mila in 4 campi. Tutti erano scappati dalla dittatura di Asmara che ancora oggi impone il servizio militare/civile senza fine. Chi ora è stato costretto a ritornare in patria, certamente non è stato accolto con un tappeto rosso. Sono tutti considerati disertori.
Don Zerai ha precisato che più o meno 5mila sono riusciti a scappare nel campo profughi Mai-Aini, ma altri 5mila risultano dispersi e ha aggiunto: “Sappiamo che ci sono state violenze e anche omicidi. E’ una grave violazione della Convenzione di Ginevra del 1951 (statuto dei rifugiati, del quale UNHCR è il “guardiano” n.d.r.). Il sacerdote di origini eritree dice che non è dato sapere cosa sia successo esattamente ai 5mila spariti nel nulla, alcune informazioni hanno però rivelato che molti sono stati arrestati e si trovano attualmente nelle putride galere della ex colonia italiana.
E giovedì scorso l’Agenzia di stampa Reuters ha comunicato che Addis Ababa ha chiuso i campi di Shimelba and Hitsats. I profughi sarebbero stati ricollocati in altre strutture. Infatti oltre che don Zerai, anche UNHCR aveva denunciato l’attacco ai campi e del rimpatrio forzato di migranti da parte di truppe eritree.
Ormai nessuno può più negare la presenza di truppe eritree in Tigray e il diretto coinvolgimento di Asmara nel conflitto. iniziato il 4 novembre con l’invio dell’esercito di Addis Ababa dietro ordine del primo ministro e premio Nobel per la Pace 2019 Abiy Ahmed.
E finalmente, dopo testimonianze e denunce, il governo di Addis Ababa , tramite il ministro per le Donne, Filsan Abdullahi, ha ammesso che sono stati commessi stupri e violenze nel Tigray. Persino Ethiopian Human Rights Commission ha precisato che sono stati segnalati 108 stupri negli ultimi due mesi e metà di questi sono stati consumati nella zona del capoluogo Makallè. Ma l’istituzione governativa ha anche detto che sicuramente molte altre violenze nei confronti delle donne non sono state denunciate. Il governo ha promesso tolleranza zero per coloro che hanno commesso questi efferati crimini, certamente si tratta di militari delle truppe governative o di forze alleate.
Intanto il ministero delle Donne ha promesso di inviare esperti in tutto il Tigray e, anche secondo il portavoce Adinew Abera, certamente verranno alla luce altre violenze sessuali.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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