AFRICA

L’atroce tormento dei bambini soldato: uccidere o essere uccisi

Speciale per Africa ExPress
Luciano Bertozzi
6 febbraio 2021

Nel 2019 quasi ottomila minori, alcuni anche di sei anni, sono stati arruolati ed utilizzati in tanti conflitti, per lo più in Africa. Lo afferma il Segretario generale dell’ONU in un rapporto dedicato alla situazione dell’infanzia nei conflitti. I Paesi interessati sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine e coinvolge decine fra guerriglie ed eserciti regolari, puntualmente elencati nel predetto Rapporto.

Bambini soldato

Uccidere o essere uccisi, questo il tragico dilemma cui sono costretti tanti piccoli innocenti, rapiti da scuole e villaggi. I minori trasformati in combattenti sono sottoposti a violenze di ogni tipo: uccisioni, torture, mutiliazioni, violenze sessuali ed uso di droghe, somministrate per eliminare dolore e paura. Il loro compito non è solo quello di essere guerrieri, ma anche cuochi, facchini, messaggeri; un particolare aspetto riguarda anche le ragazze, reclutate per fini sessuali e per matrimoni forzati, con gravidanze indesiderate e rischio AIDS.

Le ragazzine sono utilizzate anche per attentati suicidi, ad esempio in Nigeria da Boko Haram.”I bambini, spiegava in passato Olara Otunnu, Rappresentante Speciale del Segretario Generale Onu per i bambini nei conflitti armati “non sono ancora pienamente coscienti delle loro azioni: possono essere facilmente indottrinati e trasformati in spietate macchine belliche”.

Inoltre conflitti sempre più sanguinosi richiedono sempre nuova carne da cannone ed i fanciulli non disertano, non chiedono paghe e spesso, per loro l’esercito rappresenta l’unico modo per potersi nutrire. In estrema sintesi fra i motivi che aiutano la diffusione del problema vi sono: l’enorme disponibilità di armi leggere (mitra, fucili, ecc) ampiamente fruibili nei Paesi più poveri del mondo; la mancata registrazione dei bambini alla nascita, che nega il diritto all’identità anagrafica; la facilità di indottrinamento dei più piccoli e il terrorizzare le popolazioni civili, obiettivo di tante guerre in corso.

Quando i piccoli combattono, le forze in campo tendono a considerare tutti i bambini come potenziali nemici, con conseguenze prevedibili. I combattimenti, inoltre, prendono di mira ospedali e scuole, in spregio di convenzioni internazionali, nell’adozione delle quali l’Italia ha svolto un ruolo significativo, impedendo diritti fondamentali come salute e istruzione a molte migliaia di persone. Nel solo 2019 l’ONU ha accertato almeno mille attacchi contro scuole ed ospedali, con il raddoppio di quelli operati dagli eserciti, soprattutto in Somalia.

La Somalia è fra i Paesi più interessati: secondo i dati Onu nel 2019 con 1.500 ragazzini utilizzati ed arruolati, per lo più rapiti dalle milizie di Al Shebab, ma utilizzati anche da esercito e polizia, in quasi 200 casi. Nell’ex colonia italiana siamo presenti con una missione militare europea (EUTM Somalia), composta anche da un centinaio di nostri soldati con la finalità di formare l’esercito di Mogadiscio e una missione di addestramento delle forze di polizia somale (MIADIT), ma non sembra che dal nostro Governo o Parlamento siano giunte parole di condanna per questi crimini.

Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) 2.506 minori sono stati reclutati dal 2008 e utilizzati fino al loro rilascio, nel 2019, da ben 38 guerriglie. Preoccupa anche il Sahel: nella Repubblica Centrafricana l’ONU ha accertato almeno 200 nuovi casi di minorenni utilizzati come soldati e altrettanti nel Mali, alle prese con il terrorismo.

Il diritto internazionale considera i minori utilizzati nelle guerre vittime della ferocia degli adulti, tuttavia in molti casi sono detenuti, privati delle cure parentali, sanitarie del cibo e sottratti ai propri genitori a causa dell’ appartenenza a gruppi terroristici. A tutto ciò va aggiunto lo stigma sociale, che colpisce soprattutto le ragazze costrette a fare le “schiave sessuali” e pur essendo vittime incolpevoli, poste ai margini della società. Le violenze sessuali, del resto, sono ampiamente usate non solo dai guerriglieri ma anche dagli eserciti nella Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica Centrafricana,  Sudan e Sud Sudan.

Nel 2019, grazie all’Unicef, oltre 13.000 minori sono stati separati da eserciti e guerriglie, però gli ostacoli maggiori al reinserimento sono costituiti da una smobilitazione duratura. Si corre il rischio, infatti, che dopo la smobilitazione, in mancanza di programmi duraturi nel tempo e per scarsità di fondi, gli ex bambini soldato possano essere riarruolati o dedicarsi al banditismo, ad esempio nel Sud Sudan.

Il diritto internazionale punisce questo fenomeno aberrante: ad esempio il Corte Penale Internazionale (CPI) considera l’arruolamento di bambini al di sotto dei 15 anni come un crimine di guerra, mentre l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) definisce il reclutamento una delle peggiori forme di lavoro minorile. Alcuni signori della guerra della RDC sono stati condannati e l’ex presidente del Sudan Omar al Bashir è incriminato da CPI per i reati commessi in Darfur. Non basta, tuttavia, un Trattato per rendere effettivo un diritto e, quindi, la mobilitazione della società civile è essenziale, così come il ruolo degli organi di informazione.

Omar Al-Bashir

Il rispetto delle Convenzioni internazionali dovrebbe essere posta alla base delle relazioni fra i Paesi. In particolare dovrebbe essere vietata ogni sorta di aiuto militare. Chi si macchia dei crimini in questione deve essere punito, ponendo fine al muro dell’impunità. I governi responsabili di tali reati dovrebbero essere posti ai margini della comunità internazionale, imponendo nei loro confronti una serie di sanzioni.

La pace resta il mezzo più potente, per eliminare tante sofferenze, ma è necessario passare dalle parole ai fatti. La pandemia offre la grande opportunità di cambiare i paradigmi, mettiamo al primo posto la tutela dei diritti umani, tagliamo drasticamente le spese militari, investiamo ad esempio nei vaccini gratuiti anche nei Paesi in via di sviluppo e ridurremmo le tensioni internazionali e faciliteremmo i processi di pace nel mondo.

Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it

 

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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