Cornelia I. Toelgyes
21 gennaio 2020
Antony Blinken, il neo segretario di Stato USA del governo di Joe Biden, ha detto di essere estremamente preoccupato per la guerra e le atrocità che si stanno consumando in Tigray e non esclude la possibilità di nominare presto un inviato speciale, poichè teme che il conflitto possa destabilizzare tutto il Corno d’Africa.
Guerra e violenze continuano, eppure il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed, ha annunciato la vittoria militare contro i ribelli del Tigray da tempo. Il conflitto è iniziato il 4 novembre 2020 tra le truppe federali e Tigray People’s Liberation Front (TPLF). Peccato che a fare le spese delle atrocità sia soprattutto la popolazione. Migliaia di civili sono morti, decine e decine di migliaia hanno abbandonato le proprie case. Il numero di rifugiati in Sudan supera le cifra di 55mila, altri sono sfollati.
E la mattanza continua senza sosta. Martedì a Makallè, il capoluogo del Tigray, è stato ucciso un giornalista insieme a un suo amico . I loro corpi sono stati ritrovati ieri mattina nella macchina sulla quale viaggiavano. Il giornalista, Dawit Kebede, lavorava per la TV locale di Stato del Tigray, mentre l’amico, Bereket Berhe, era il fratello di un collega. Non è chiaro il motivo della loro uccisione. Kahsay Biru, direttore di Tigray Mass Media Agency, ha detto che Dawit sarebbe stato fermato venerdì scorso dalla polizia. Dopo il suo rilascio, passate poche ore, gli era stato chiesto di ripresentarsi al commissariato lunedì mattina. L’anno scorso sono stati arrestati 13 giornalisti in Etiopia, sette tra questi nel mese di novembre.
The Church Times, autorevole settimanale anglicano indipendente con sede a Londra, ha ripreso qualche giorno fa la notizia del massacro che si sarebbe consumato a Aksum, nella chiesa ortodossa di Nostra Signora Maria di Sion. Secondo la tradizione vi sarebbe custodita l’arca dell’Alleanza, la cassa di legno con coperchio d’oro contenente le Tavole dei dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè sul monte Sinai.
Centinaia di persone si sarebbero nascoste nel luogo di culto per sfuggire ai combattimenti che si stavano consumando nella città. La notizia è stata lanciata da EEPA, (acronimo per European External Programme with Africa) una ONG con sede in Belgio, il 9 gennaio. Sebbene l’area sia terreno off limits per i giornalisti, da alcuni rapporti emerge che nella zona si sono svolti diversi sanguinosi combattimenti. Secondo il rapporto di EEPA sarebbero state uccise ben 750 persone. Finora la mattanza non è stata confermata da altra fonte. Nell’aggiornamento odierno EEPA cita una testimone oculare americana, presente a Aksum all’inizio di novembre 2020, già alcuni giorni prima dell’inizio del conflitto. In base al racconto della cittadina statunitense, la città sarebbe stata invasa da migliaia di soldati eritrei che sparavano su chiunque fosse sotto tiro, persino su soldati etiopici, sacerdoti, contadini.
Un altro fatto che ha trovato poco spazio nella stampa internazionale è l’uccisione dell’ ex ministro degli esteri, il 71enne Seyoum Mesfin. L’anziano politico aveva ricoperto la carica per ben 19 anni, dal 1991 al 2010, e, insieme alla controparte eritrea, Haile Woldetensae, aveva firmato il trattato di pace del 2000 per porre fine alla guerra tra i due Paesi. Seyoum è stato uno dei fondatori del TPLF e è stato ammazzato insieme a altri due membri della formazione politica, perché si erano rifiutati di arrendersi alle truppe federali. Altri 5 esponenti del raggruppamento sono stati arrestati. La notizia è stata confermata dalle autorità etiopiche.
Ora entrambi i firmatari del trattato di Algeri sono morti. L’eritreo Haile Woldetensae, detto Duro, è deceduto malato e cieco in una delle luride galere del regime di Asmara due anni fa. Era stato imprigionati insieme a altri dissidenti nel lontano 2001.
Pochi giorni fa è emerso che anche soldati somali stanno combattendo accanto alle truppe federali etiopiche nel Tigray e sembra che molti di loro siano morti durante gli scontri. Secondo l’ex vicedirettore dei servizi segreti somali, Abdisalan Yusuf Guled, centinaia di giovani militari si trovavano in Eritrea da mesi per un corso di addestramento. Da allora i giovani non sono più ritornati nel Paese e le famiglie hanno iniziato a preoccuparsi. Ovviamente sia Mogadiscio che Addis Ababa negano il coinvolgimento di militari somali nel Tigray.
Qualche giorno fa lo staff di UNHCR è finalmente riuscito a raggiungere i campi per rifugiati Mai Aini e Adi Harush, dove vivono decine di migliaia di eritrei. Negli ultimi due mesi i residenti hanno ricevuto una sola volta aiuti alimentari da World Food Programme (WFP). Fortunatamente questi due campi non sono stati direttamente coinvolti nel conflitto, ma gli abitanti hanno raccontato al team di UNHCR di essere stati minacciati e perseguitati da diversi gruppi armati. I profughi sono impauriti, perché i persecutori arrivano di notte per rubare e saccheggiare i loro pochi averi.
Gli operatori umanitari di UNHCR hanno confermato che a tutt’oggi non hanno accesso agli altri due campi che ospitano rifugiati eritrei in Etiopia. Shimelba e Hitsats sono ancora isolati. In base a un rapporto dell’Alto Commissario per i Rifugiati della scorsa settimana, i due insediamenti sarebbero stati gravemente danneggiati. Molti profughi sarebbero scappati in cerca di sicurezza e cibo. Quasi 5 mila si troverebbero ora nella città di Shire, dove sono costretti a vivere per strada, senza cibo né acqua.
Il direttore di Action Against Hunger’s (AAH) per l’Etiopia, Panos Navrozidis, ha detto che molte zone del Tigray restano ancora irraggiungibili, in particolare le zone rurali, dove molte persone si sono rifugiate per paura degli attacchi nei grandi centri abitati. “Il Tigray centrale è ancora un grande buco nero, in quanto le organizzazioni umanitarie sono autorizzate solamente a operare in alcune città”, ha sottolineato Navrozidis.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes
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