Dal Nostro Corrispondente
Michael Beckbone
Nairobi, 13 gennaio 2021
L’8 Gennaio scorso, il Ministero della Sanità keniota, responsabile della vigilanza Covid, per ogni viaggatore in entrata o in uscita dal Kenya, ha stabilito che una nuova normativa emessa dall’Unione Africana sarebbe in vigore da oggi per assicurarsi che sia i passeggeri in entrata verso l’Africa sia quelli in partenza dall’Africa possano essere tracciati in caso di infezione da Covid.
La misura, sostenuta tra l’altro dalle Nazioni Unite tramite la sua agenzia UNDP, ha come obbiettivo la certificazione di ogni passeggero in entrata o uscita dal territorio africano con un nuovo sistema di QR Code certificato da Istituti riconosciuti.
L’idea è brillante, tuttavia ha le sue limitazioni: per chi uscisse dal territorio africano con volo verso Europa o Stati Uniti, si tratta di sottoporsi al test PCR presso organizzazioni certificate, e per questo non vi sono problemi perché tutte le più conosciute sono incluse nel pool di certificazione, ma per coloro i quali volessero per turismo venire o verso il Kenya o altre destinazioni, i problemi si pongono perché le liste delle Istituzioni certificate sono minime, per la Spagna solo una a Madrid (Abbott), in Italia invece tutte situate in Piemonte e in Inghilterra una dozzina sparse tra Londra in maggioranza e poche altre località.
Forse l’Unione Africana, ispiratrice di questa nuova procedura, non era al corrente che sarebbe stato (forse) meglio certificare più organizzazioni in Europa o negli Stati Uniti piuttosto che la pletora locale Africana, perché in fin dei conti si tratta di risollevare il turismo locale che ha sofferto uno dei peggiori colpi di clava da parte della pandemia. Oltretutto, la mobilità ridotta in Europa complica le cose, il che equivale a dire che il potenziale turista siciliano dovrebbe esaminarsi in Piemonte per potersi imbarcare un volo per l’Africa, ossia missione impossibile vista la proibizione alla mobilità tra Regioni per i cittadini italiani, e immagino anche per i cittadini europei tutti.
In sostanza, la mancata diffusione di questa arguta pensata legislativa a livello Europeo non aiuta l’Unione Africana poiché i turisti in provenienza da Europa e Stati Uniti (includendo l’escluso Regno Unito) dovranno sottoporsi a forche caudine per ottenere un visto sanitario non ubiquo per potere entrare in territorio africano.
Di più i siti menzionati dai vari ministeri della Sanità locali africani (www.africacdc.org/trusted-travel, oppure www.panabios.org oppure www.globalhaven.org), a tutt’oggi, data di vigore delle disposizioni, non offrono nessun elemento di chiarezza per potere accedere ad alcun luogo africano di interesse, a meno di essere cittadini tedeschi, inglesi o statunitensi. In aggiunta, tutti questi siti sono di recente creazione oppure sono addirittura in fase di allestimento.
Al minimo, si tratta di una restrizione incomprensibile, al massimo, un lavoro fatto parecchio male, seppur con lodevoli intenzioni.
Forse un maggior coordinamento sarebbe stato auspicabile, perché in fondo non si tratta di soli turisti verso l’Africa, ma anche di imprese straniere desiderose di creare lavoro nel continente e che in questo senso sono private di un’opportunità. Un’altra occasione perduta?
Michael Beckbone