Cornelia I. Toelgyes
9 gennaio 2020
Nell’estremo nord del Camerun, dove miliziani di Boko Haram terrorizzano la popolazione, sono morte 14 persone nella notte tra il 7 e l’8 gennaio.
Un gruppo di ribelli è arrivato con un kamikaze, che si è fatto esplodere a Mozogo, nel dipartimento di Mayo Tsanaga. Secondo fonti ufficiali hanno perso la vita 12 civili e, oltre all’attentatore suicida, un altro jihadista.
Solo pochi giorni prima, il 4 gennaio, presunti miliziani di Boko Haram, hanno fatto irruzione a Kaliari, uccidendo 3 persone, membri di un gruppo di autodifesa. Queste associazioni sono incaricate di denunciare, dare informazioni ai militari governativi sugli spostamenti dei terroristi.
Anche nelle due province anglofone le cose non vanno molto meglio. Il 4 gennaio scorso sono stati uccisi 4 militari e un civile, altre tre persone hanno riportato ferite, in un imboscata tesa dai secessionisti al convoglio del prefetto di Momo, nel nord-ovest del Paese.
Rebecca Jemem responsabile delle comunicazioni del prefetto, ha fatto sapere che l’alto funzionario si è salvato per miracolo. La prima vettura del convoglio, scortato dai militari, è stata colpita da una bomba, uccidendo, appunto, quattro persone.
Anche se finora nessuno ha rivendicato il massacro, le autorità accusano i secessionisti. Dopo la decisione del presidente-dittatore Paul Biya, presa nel 2016, di voler spostare gli insegnanti francofoni nelle scuole anglofone del Camerun, del nord-ovest e del sud-ovest, è in atto conflitto un tra ribelli indipendentisti e l’esercito regolare. I separatisti, che vorrebbero trasformare le due regioni in uno Stato autonomo chiamato “Ambazonia”, denunciano da anni la loro marginalizzazione da parte del governo centrale e della maggioranza francofona.
Solamente in 2 delle 10 province del Camerun si parla inglese. All’inizio del ‘900 il Paese era una colonia tedesca. Dopo la prima guerra mondiale nel 1919, è stata divisa tra Francia e Gran Bretagna, secondo il mandato della Lega delle Nazioni. La parte francese, molto più ampia, aveva come capitale Yaoundé, mentre quella inglese era stata annessa alla Nigeria, si estendeva fino al Lago Ciad e aveva per capitale Lagos. Gli inglesi erano poco presenti in questa regione, perché la loro attenzione era concentrata sui territori dell’attuale Nigeria.
Le due province anglofone e quella dell’estremo nord la malnutrizione dei bambini sotto i cinque anni è molto diffusa. La zona settentrionale è da anni gravemente colpito dalle aggressioni dei jihadisti. Quest’ultima è anche teatro di cambiamenti climatici importanti, siccità e inondazioni, fattori anche loro responsabili dello stato di salute fragile di molti piccoli. Il 32 per cento soffre di malnutrizione cronica e tra questi il 20,2 sono gravemente sottopeso.
Secondo OCHA, Ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell’ONU, il 33 per cento della popolazione di questa provincia vive in stato di insicurezza alimentare. La mancanza di acqua potabile e l’assenza delle più elementari regole di igiene sono causa prima della malnutrizione infantile. Ma anche la giovane età delle madri e la scarsa istruzione giocano un ruolo importante. Le mamme non credono che i figli muoiano perché incredibilmente sottopeso, ma sono convinte che siano gli stregoni “a mangiare i loro piccoli”.
Ma in nord del Camerun è anche popolato da una tribù che cerca di sopravvivere grazie alle vecchie tradizioni e mestieri tramandati da generazioni. I mafa sono presenti non solo in Camerun, ma anche in Nigeria e sono maestri nella lavorazione dell’argilla che usano per fabbricare grandi giare – chiamati comunemente “frigoriferi naturali”- dove conservano l’acqua.
Dakalak è una mafa che vive con la sua famiglia nel villaggio di Mandaka Chechem. La sua mamma era una vasaia, che le ha insegnato i lei il mestiere che ora sta tramandando alla figlia diciassettenne.
Tra questa etnia ci sono anche bravissime tessitrici e grandi maestri fabbri. Guideyme Dadadak, marito della vasaia, fabbrica machete, forconi e quant’altro nella fucina insieme all’apprendista, suo figlio tredicenne, che non vede l’ora di diventare bravo quanto il papà.
Per sopravvivere e potersi prendere cura della famiglia, Guideyme, è costretto a dedicarsi anche a una seconda attività: seppellisce i morti: è infatti il becchino del villaggio. Un compito di cui va fiero avuto in eredità dai suoi avi. Malgrado la sua passione per i vecchi mestieri e le tradizioni, Guideyeme è preoccupato per la lenta estinzione dei valori ancestrali.
“Una volta era diverso – racconta la coppia -. Malgrado gli attacchi dei Boko Haram nella zona e nel villaggio, si vedeva qualche turista, curioso di ammirare in nostro artigianato e comprare anche qualcosa come ricordo. Ma ora, con il coronavirus, anche queste rare visite sono scomparse. Speriamo che torni presto”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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