Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
21 dicembre 2020
La telefonata dall’Etiopia arriva improvvisa. La voce dall’altra parte è concitata: “L’hanno arrestata! L’hanno arrestata! E ora sta morendo”. Semhal Melles Zenawi, figlia dell’architetto dell’Etiopia, nata dopo la caduta del regime militar comunista di Mengistu Hailé Mariam, ora si trova in carcere.
Il nostro interlocutore riesce a malapena a pronunciare altre brevi parole: “E’ stata bloccata dai militari all’1 di notte mentre si trovava a Makallè (la capitale del Tigray, ndr). Hanno sfondato la porta del suo alloggio e trascinate via: ma si trovava lì per partecipare a una manifestazione in ricordo del padre e non era riuscita a rientrare (ad Addis Abeba, ndr) per la guerra in corso”. Poi la comunicazione è stata interrotta ed è stato impossibile ristabilirla per avere ulteriori informazioni. Solo più tardi un messaggio ha informato Africa ExPress che la ragazza è stata rilasciata alle 21.
Ho conosciuto Semhal Melles Zenawi nel 2005 ad Addis Abeba durante il concerto in onore e in ricordo di Bob Marley. Me l’aveva presentata il padre assieme a sua moglie Azieb. Mi avevano invitato a entrare nel posto a loro riservato e così avevamo assistito assieme a una parte del concerto. La donna, che ha 32 anni, in qualche modo, ha preso l’eredità politica del padre, Melles Zenawi, morto in una clinica di Bruxelles nell’agosto 2012.
Assieme alla madre, ex capa guerrigliera anche lei, Semhal ha però preso le distanze dai vertici del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) con cui si è trovata in forte dissenso.
Melles era un visionario che sognava un’Etiopia democratica e sviluppata. Forse l’unico vero statista (naturalmente, escluso Nelson Mandela) che abbia conosciuto l’Africa. Riuscì in una trasformazione epocale: da capo guerrigliero diventò un politico accorto e riflessivo. La sua politica liberale si è infranta ora contro gli egoismi etnici e tribali emersi tragicamente con la guerra fratricida scatenata dal suo successore Aby Ahmed, premio Nobel per la pace 2019.
Massimo A. Alberizzi
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