Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
20 dicembre 2020
Le elezioni presidenziali sono alle porte e il clima di insicurezza nella Repubblica Centrafricana si acuisce di ora in ora. E proprio in questi giorni il governo di Bangui ha accusato l’ex presidente François Bozizé, che è stato estromesso dalla corsa per la poltrona più ambita solo pochi giorni fa, di aver preparato e tentato un colpo di Stato. Bozizé sarebbe il leader di un movimento che il 15 dicembre ha firmato un documento che denunciava gli accordi raggiunti nel febbraio 2019: era l’ennesimo trattato di pace. Ma la parola “pace” in questo Paese resta ancor sempre sconosciuta.
La dichiarazione di Kamba Kota (nome di una località nel nord-est del Paese) è stata siglata da ben 6 gruppi armati: MPC (Mouvement patriotique pour la Centrafrique, raggruppa miliziani musulmani, per lo più pastori arabi e fulani), 3R (Retour, Réclamation et Réhabilitation, il cui leader è Bi Sidi Souleymane, alias Sidiki Abbas, fulani di origine camerunense), FPRC (Front populaire pour la renaissance de la Centrafrique), UNPC (Unité pour la paix en Centrafrique), anti-balaka della fazione Mokom e anti-balaka fazione Ndomaté.
Il raggruppamento politico KNK (Convergenza Nazionale “Kwa Na Kwa”), partito fondato da Bozizé nel 2004, nega qualsiasi coinvolgimento del loro leader. E bisogna anche precisare che il documento in questione è stato siglato non direttamente dai grandi capi, bensì solo da rappresentanti dei vari movimenti, che, senza ombra di dubbio, sono i raggruppamenti armati più forti e potenti nella ex colonia francese.
MINUSCA, la Missione delle Nazione Unite, presente nel Paese dal 2014, conta attualmente 13.432 uomini. Sostiene che nel tentativo di sovvertire le regole e di prendere il potere siano implicati MPC, 3R e degli anti-balaka. Mentre l’UPC ha confermato la propria adesione alla nuova coalizione. Fino a questo momento la situazione di FPRC è poco chiara. E’ possibile che solamente alcuni membri si siano associati. I miliziani ex Séléka aderiscono ai partiti musulmani, mentre gli anti-balaka raggruppano cristiani e animisti.
Venerdì scorso MINUSCA è intervenuta nell’ovest del Paese, perché i gruppi armati in questione hanno occupato alcune località che si trovano lungo la strada verso la capitale Bangui, minacciando il presidente uscente Faustin-Archange Touadéra, che prenderanno il potere se si dovessero verificare brogli elettorali.
Touadéra si è ricandidato per un secondo mandato. Gli altri due concorrenti sono: Catherine Samba-Panza,ex capo di Stato del Paese dal 2014-2016. e Martin Ziguélé, già primo ministro dal 2001-2003.
Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha chiesto a tutte le parti in causa di risolvere le divergenze in modo pacifico nell’interesse della popolazione, già duramente provata da anni di conflitti e instabilità.
La tensione è tangibile in ogni angolo della Repubblica Centrafricana, specie dopo le accusa rivolte dal governo di Bangui a Bozizé di voler destabilizzare il Paese. Anche l’annuncio dell’opposizione di temere brogli durante la tornata elettorale, non ha certamente placato gli animi.
E, secondo il giornale online “Le Potentiel Centrafricain”, truppe ciadiane sarebbero già schierate alla frontiera con il Centrafrica per venire in aiuto a Bozizé se dovesse riconquistare il potere.
Un Paese ricco di risorse naturali, che purtroppo dipende in gran parte dagli aiuti internazionali che sono passati dal 46,6 del 2018, al 52,6 per cento nel 2019. Secondo Han Fraeters, rappresentante della Banca Mondiale, se tali aiuti dovessero venire a mancare, il Paese si troverebbe in serie difficoltà per assicurare la continuità dello Stato: “tale dipendenza va ben oltre le entrate pubbliche”, ha precisato Fraeters. Infatti, il budget annuale medio del Paese – senza aiuti esterni – è di 156 milioni di euro; MINUSCA gestisce un pacchetto di oltre 800 milioni e i vari enti internazionali per lo sviluppo sborsano più o meno altrettanto ogni anno.
Pur troppo tale assistenza viene utilizzata per lo più in investimenti a breve termine e i soldi servono soprattutto per aiuti umanitari immediati e non sono sufficientemente strutturati. Denis Vasseur, direttore Agence française de développement (AFD) nel Centrafrica, ha reso bene il concetto: “Gli aiuti umanitari ti danno il pesce, ma non necessariamente la canna da pesca”.
La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé ex golpista del 2003, dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica del Paese. Dall’era post François Bozizé il Paese ha visto alternarsi ben quattro presidenti: Michel Djotodia, Alexandre-Ferdinand N’Guende, Catherine Samba-Panza e infine Faustin-Archange Touadéra, eletto nel marzo 2016.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@htmail.it
@cotoelgyes
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