Cornelia I. Toelgyes
18 dicembre 2020
Pochi giorni fa il governo di transizione del Mali ha inviato un folto gruppo di assistenti legali nella regione di Kayes per informare e sensibilizzare la popolazione sullo “schiavismo per discendenza”. Pratica ancora molto diffusa nella zona, malgrado una legge del 1905 che la abolisce ufficialmente.
I 28 paralegali sono stati formati grazie all’iniziativa Emifo, un vasto programma di ricerca-azione contro la schiavitù e la migrazione forzata a Kayes.
Sono molti gli errori commessi in passato: violenze, uccisioni e sfollati, problemi sorti in seguito al desiderio di emancipazione dei presunti schiavi. E Bakary Camara, docente alla facoltà di diritto pubblico all’università di Bamako ha precisato: “Tale ricerca fondamentale e applicata è finalizzata all’emanazione di una legge che criminalizzi la schiavitù.
Gli esperti dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite i primi di settembre hanno lanciato un appello al governo di Bamako: “Niente può giustificare il persistere della pratica della schiavitù in Mali”. Hanno inoltre specificato che è altrettanto importante che le istituzioni del Paese contrastino i leader religiosi che tollerano queste pratiche spaventose.
La tiratina alle orecchie alle autorità del Mali è sopraggiunta dopo l’uccisione di quattro militanti anti-schiavisti nella notte tra il 1° e il 2 settembre 2020.
Il terribile fatto di sangue è avvenuto a Djandjoumé, nella regione di Kayes. I quattro sono stati legati, picchiati a sangue, poi buttati in acqua, perché si rifiutavano di riconoscere il loro status di “schiavi per discendenza”. Anche i familiari sono stati linciati a colpi di machete.
Tra le persone che hanno subito il linciaggio, c’è anche un uomo di 69 anni, che già due anni fa era stato bastonato con forza. Allora gli aggressori erano stati condannati a un anno di prigione con la condizionale. Nessuno di loro è mai stato in galera, nemmeno mezza giornata e la vittima non ha ricevuto nessuna protezione dopo l’aggressione del 2018.
L’MSDH, Movimento per la Salvaguardia dei Diritti Umani (in Mali) ha condannato severamente questi gravissimi fatti e ha chiesto che i responsabili vengano arrestati e processati.
Mentre la Commission Nationale des Droits de l’Homme (CNDH) ha ricordato a Bamako, che, secondo l’articolo 2 della Costituzione “Tutti i cittadini maliani nascono liberi e uguali in dignità, diritti e doveri. Ogni discriminazione fondata sull’origine sociale, colore, lingua, razza, genere, religione, opinione politica è vietata”.
Il CNDH ha fatto riferimento anche alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli e ha invitato il governo a aprire quanto prima un dialogo inclusivo volto a risolvere una volta per tutte la questione “schiavitù per discendenza”. Infine il presidente di CNHD ha lanciato un appello alla popolazione di cessare tutte le violenze e di operare per la pace e coesione sociale.
Secondo la ricercatrice Benedetta Rossi dell’università di Birmingham (Dipartimento di Studi africani e antropologia), nel Sahel l’ideologia che giustifica la schiavitù non è ancora completamente sradicata. Purtroppo in Africa la schiavitù per discendenza coesiste con la tratta degli esseri umani e la schiavitù sessuale, fenomeni particolarmente diffusi in zone dove in tempi recenti si sono consumati conflitti. Ma soprattutto la schiavitù per eredità è ancora presente nella cultura di queste società (Ciad, Mali, Mauritania, Burkina Faso e Niger).
In Mali le etnie soninke, malinke o fulani sono suddivise in caste: i nobili, gli artigiani, i griots (poeti, cantori) e gli schiavi. E appunto nella regione di Kayes esiste ancora il fenomeno specifico della schiavitù per discendenza.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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