Africa ExPress
9 dicembre 2020
Lunedì il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha dichiarato di voler ristabilire e i servizi di base nel Tigray, dove dal 4 novembre 2020 si consuma un sanguinoso conflitto tra le truppe governative di Addis Ababa e quelle del Fronte di Liberazione del Tigray (TPLF).
Il primo ministro ha anche affermato che i ribelli del TPLF non sarebbero assolutamente in grado di portare avanti una guerriglia nel nord del Paese. Ma i leader del Tigray hanno fatto sapere che il conflitto è tutt’altro che terminato.
E mentre le controversie tra le due fazioni continuano, la popolazione è allo stremo. Se da un lato all’ONU è stato assicurato il “Via libera” per portare gli aiuti nella regione, ma di fatto è molto difficile, in quanto in molte zone ci sono ancora combattimenti in atto. Anzi, è impossibile. Nel tentativo di recarsi al campo profughi di Shimelba – uno dei quattro che ospita per lo più eritrei fuggiti dal regime di Asmara negli ultimi anni – un team di operatori dell’ONU addetti alla sicurezza, è stato fermato dai soldati governativi. I militari hanno sparato alcuni colpi di fucile in direzione degli incaricati dell’Organizzazione e poi li hanno arrestati.
Redwan Hussein, portavoce delle forze armate del governo etiopico in Tigray ha raccontato ai reporter che il team dell’ONU non si sarebbe fermato a due posti di blocco. Secondo Redwan guidavano molto velocemente in una zona dove l’accesso era vietato; “Quando non hanno rispettato l’alt nemmeno al terzo check-point, i nostri soldati hanno sparato e li hanno arrestati”, ha precisato il portavoce.
Si teme che in poco più di un mese – il conflitto è iniziato il 4 novembre scorso – siano morte migliaia di persone. E si stima che 950mila residenti abbiano abbandonato le proprie case; 47mila tra queste persone hanno cercato protezione nel vicino Sudan.
Già lunedì sera Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha detto senza mezzi termini: “Il nostro messaggio è chiaro: le ostilità e le violenze etniche devono cessare immediatamente. Civili e rifugiati devono essere protetti. Il diritto internazionale deve essere rispettato. Chiediamo con grande fermezza al governo etiopico accesso incondizionato agli attori umanitari di tutte le istituzioni come l’ONU e le organizzazioni non governative. Sosteniamo l’iniziativa dell’Unione Africana, l’unica via per ristabilire una pace durevole” .
Ma il primo ministro etiopico è stato chiaro: nessuna interferenza da organizzazioni internazionali e da altri Stati. Alla fine di novembre Abiy, premio Nobel per la Pace 2019, ha incontrato i mediatori designati dall’UA, che avevano tentato una conciliazione volta a porre fine al sanguinoso conflitto. Nulla di fatto. Ai tre ex capi di Stato – Ellen Johnson-Sirleaf ( Liberia), Joaquim Chissano (Mozambico) e Kgalema Motlanthe (Sudafrica) – è stato persino negato di recarsi nel Tigray per incontrare il capo del TPLF, Debretsion Gebrimichal, e altri leader dei ribelli.
Le notizie che arrivano sono frammentarie e confuse. Le comunicazioni telefoniche non sono ancora state ripristinate e anche internet è bloccato. I giornalisti indipendenti non possono raggiungere la zona del conflitto.
Sia Asmara che Addis Ababa negano fermamente il coinvolgimento per Paese rivierasco. Eppure fonti diplomatiche confermano ad Africa Express che soldati eritrei sono implicati nelle ostilità in atto. E oggi altre fonti diplomatiche hanno detto a Reuters che la squadra dell’ONU ha incontrato truppe eritree nel Tigray.
I tigrini, che rappresentano più o meno il 7 per cento della popolazione, hanno dominato la scena politica e militare del Paese fino all’arrivo di Abiy, un oromo, salito al potere nell’aprile 2018, designato dalla coalizione al governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn.
Abiy subito dopo il suo insediamento ha promesso di lavorare per un Etiopia unita e dopo anni di repressione ha liberato migliaia di prigionieri politici. D’altro canto il suo governo ha rimosso la vecchia leadership, per lo più appartenente al TPLF, accusandola di corruzione e malversazione. Altri sono finiti in galera per crimini come torture e uccisioni.
I dissensi tra Addis Ababa e Makallé si sono intensificati a settembre, quando il Tigray ha indetto votazioni regionali contro il parere del governo centrale.
Addis Ababa ha lanciato un’offensiva nella regione ribelle il 4 novembre scorso in seguito a un attacco effettuato da TPLF a una base di Makallé.
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