Antonio Mazzeo
dicembre 2020
Nessuna collaborazione da parte delle autorità politiche, militari e giudiziarie egiziane all’inchiesta per individuare i responsabili della tragica morte di Giulio Regeni? Una proroga di 45 giorni dell’ingiusta e ignobile detenzione nel carcere del Cairo dello studente dell’Università degli Studi di Bologna Patrick Zaky? Pazienza, poco importa in Italia. Meglio invece continuare a vendere armi al regime del generale al-Sisi e fare ottimi affari con il petrolio e il gas che si nascondono nelle acque e nei deserti del grande paese nord-africano.
Il 1° dicembre 2020 al Cairo, l’ENI, il colosso degli idrocarburi controllato in parte dallo Stato italiano, ha firmato una serie di accordi con la Repubblica Araba d’Egitto e le due aziende pubbliche egiziane che operano nel settore petrolifero e dell’estrazione del gas naturale (l’Egyptian General Petroleum Corporation e l’Egyptian Natural Gas Holding Company) per riavviare la funzionalità dell’impianto di liquefazione della città portuale di Damietta, nel Delta del Nilo, a partire del primo trimestre del 2021. L’impianto, fermo da otto anni, ha una capacità di 7,56 miliardi di metri cubi di gas all’anno ed è di proprietà della SEGAS, società partecipata dalle due holding egiziane e dall’ENI attraverso l’Union Fenosa Gas (joint venture tra il gruppo italiano e la spagnola Naturgy Energy SA).
“Gli accordi odierni consentono di rafforzare gli obiettivi strategici di ENI in termini di crescita del portafoglio GNL (gas naturale liquefatto, NdA), in particolare in Egitto dove ENI è il principale produttore di gas, e sono di primaria importanza per tutte le parti coinvolte per risolvere tutte le dispute pendenti”, riporta l’ufficio stampa della società italiana. “L’accordo arriva in un momento importante, in cui, anche grazie alla rapida messa in produzione delle recenti scoperte di gas naturale di ENI, soprattutto dai campi di Zohr e Nooros, l’Egitto ha riacquistato la piena capacità di soddisfare la domanda interna di gas e può destinare la produzione eccedente all’esportazione attraverso gli impianti di GNL. L’operazione consente di rafforzare la presenza di ENI nell’Est Mediterraneo, una regione chiave per l’approvvigionamento di gas naturale, una risorsa fondamentale per la transizione energetica”.
Gli accordi prevedono inoltre il rafforzamento dell’ENI nel controllo azionario dell’impianto di liquefazione di Damietta: il risultante shareholding di SEGAS, la società titolare, sarà quindi del 50% ad ENI, il 40% all’Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS) e il restante 10% all’Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC). L’ENI subentrerà infine nel contratto di acquisto del gas naturale destinato all’impianto e – secondo quanto dichiarato dai manager del gruppo – riceverà i diritti di liquefazione corrispondenti, “aumentando così i volumi di GNL in portafoglio di 3,78 miliardi di metri cubi all’anno, che saranno disponibili senza restrizioni di destinazione”. Per ciò che riguarda le attività della partecipata Union Fenosa Gas fuori dall’Egitto, l’ENI subentrerà nelle attività di commercializzazione di gas naturale in Spagna, rafforzando la sua presenza nel mercato europeo.
L’ENI è presente in Egitto sin dal lontano 1954 e attualmente opera nell’esplorazione e nella produzione petrolifera, nella raffinazione, nell’estrazione del gas e nella chimica. La produzione petrolifera annuale è valutata in 27 milioni di barili; quella di gas in 15,6 miliardi di m³, mentre la produzione di idrocarburi è di 129 milioni di barili. Tre mesi fa la transnazionale con quartier generale a San Donato Milanese (MI) ha reso noto la scoperta di gas in un pozzo esplorativo nelle acque convenzionali del Delta del Nilo, in un’area denominata come “Great Nooros”, a circa 5 chilometri dalla costa e a 4 chilometri a nord del campo estrattivo di Nooros, scoperto nel luglio 2015. “Le valutazioni preliminari dei risultati del pozzo portano le stime di gas nella Great Nooros Area a circa 120 miliardi di metri cubi”, riferisce l’ENI. Lo sviluppo delle attività estrattive la cui concessione statale è nota come “Abu Madi West” sarà avviata nei prossimi mesi dalla società IEOC Production BW con sede a New Cairo, controllata ENI, insieme al colosso britannico BP e in coordinamento con l’Egyptian Petroleum Sector. IEOC detiene il 75% di interesse nella concessione, mentre BP il restante 25%. La licenza è operata invece da Petrobel, una joint venture paritetica tra IEOC Production e la compagnia di Stato egiziana EGPC.
Ancora nelle acque poco profonde del Delta del Nilo, nel settembre 2019 l’ENI ha avviato la produzione del giacimento a gas di Baltim South West, anche stavolta in joint venture con la transnazionale BP. La produzione avviene da una nuova piattaforma offshore collegata all’impianto a terra di Abu Madi, attraverso un nuovo gasdotto lungo 44 chilometri. Un secondo blocco esplorativo poco a sud ovest, denominato “West Sherbean” e la cui superficie è di 1.535 km², è stato assegnato dalle autorità egiziane ad ENI-BP il 15 febbraio 2019, qualche mese dopo un’altra licenza esplorativa onshore nel Delta del Nilo, quella di El Qar’a di 64 km2. Questa concessione è stata data al consorzio composto da IEOC–ENI (37,5%), BP (12,5%) ed Egyptian General Petroleum Corporation (50%).
Perforazioni in acque profonde e attività esplorative sono in corso nel Mar Mediterraneo a circa 50 chilometri a nord della penisola del Sinai in un’area di 739 km2 nel nuovo blocco Nour, nell’ambito della concessione “Nour North Sinai”. In queste attività l’ENI opera con una quota del 40% Nella concessione, che è in partecipazione con Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS), Eni è operatore con una quota del 40%, BP con il 25%, la Mubadala Petroleum (una controllata di Mubadala Investment Company, compagnia d’investimenti statale degli Emirati Arabi Uniti) con il 20%, mentre Tharwa Petroleum Company (compagnia statale egiziana) con il restante 15%. L’inedita partnership internazionale per la gestione delle risorse energetiche del mediterraneo orientale dimostra come di fronte al dio profitto non ci sono ragioni geo-politiche e militari che tengano.
Nella vicina Libia, infatti, Roma ed Abu Dhabi – con le rispettive holding petrolifere – si trovano su fronti contrapposti: la prima a fianco del regime di Tripoli guidato da Al-Sarray, gli emirati invece a fianco dell’Esercito Nazionale Libico del generale Haftar, congiuntamente con il neo-faraone d’Egitto el-Sisi.
In verità è stato proprio il gruppo italiano a favorire l’ingresso dei capitali emiratini nelle attività esplorative in Sinai: nel dicembre 2018 ENI aveva ceduto infatti una parte delle proprie quote della concessione esplorativa Nour alla Mubadala Petroleum con lo scopo dichiarato di “rafforzare ulteriormente” la propria collaborazione con la compagnia di Abu Dhabi. Sei mesi prima l’ENI aveva finalizzato la cessione a Mubadala Petroleum di una parte di un’altra concessione, quella di Shorouk nella quale si trova Zohr, uno dei maggiori giacimenti di gas nell’offshore dell’Egitto, a 190 km a nord della città di Porto Said.
Attualmente in questo blocco il gruppo italiano, attraverso la controllata IEOC Production BW, detiene ora una quota di partecipazione del 50%, mentre gli altri partner sono la società russa Rosneft con il 30%, BP e Mubadala Petroleum, entrambe con il 10%.
“Diamo ufficialmente il benvenuto a Mubadala Petroleum, un partner forte e affidabile con il quale non vediamo l’ora di iniziare a lavorare”, aveva dichiarato l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, subito dopo l’accordo con il gruppo emiratino. “La presenza di soci importanti nella concessione darà ulteriore impulso allo sviluppo del progetto Zohr, che sta svolgendo un ruolo fondamentale nel supportare l’Egitto a perseguire l’indipendenza dall’importazione di GNL. La produzione odierna di Zohr è di circa 200 mila barili di olio equivalente al giorno”.
Altre importanti attività esplorative e di estrazione sono in corso nel deserto occidentale egiziano. Nel luglio dello scorso anno l’ENI ha avviato la produzione nel permesso di “South West Meleiha”, a circa 130 chilometri a nord dell’oasi di Siwa, all’interno di una concessione che interessa un’area che si estende per 3.013 km². Da qui l’olio che viene estratto è trasportato e trattato nell’impianto di Melehia di proprietà dell’Agiba Petroleum Company, altra società detenuta pariteticamente da ENI attraverso la controllata IEOC e dall’Egyptian General Petroleum Corporation.
Sempre nel deserto occidentale egiziano, l’ENI ha avviato una campagna di perforazione nei campi Zarif e Faras all’interno della zona di concessione di Ras Qattara, in un’area di 104 km2. Di quest’ultima concessione governativa, il gruppo italiano detiene una quota del 75%, mentre il restante 25% è in mano ad INA, la compagnia petrolifera di stato della Croazia.
Molte delle concessioni ENI sono state prorogate pochi mesi fa dalle autorità egiziane sino alla fine del 2030. L’estensione temporale è certamente uno dei successi più importanti della missione del gennaio 2017 al Cairo dell’amministratore delegato Claudio Descalzi.
“Nel corso della visita, l’amministratore ENI ha incontrato il Presidente della Repubblica d’Egitto Abdel Fattah el-Sisi”, riporta il comunicato emesso dall’ufficio stampa del gruppo di San Donato Milanese. “Durante l’incontro, l’AD Descalzi e il Presidente el-Sisi hanno esaminato l’andamento delle attività di sviluppo del giacimento di Zohr. Particolare attenzione è stata dedicata allo sviluppo del campo di Nooros. Inoltre, Descalzi e il Presidente el-Sisi hanno discusso delle future attività esplorative di ENI in Egitto, tra cui i due nuovi accordi di concessione per i blocchi di North El Hammad e di North Ras El Esh, siglati il 27 dicembre 2016”.
Meno di un anno prima nella capitale egiziana era stato sequestrato, torturato, assassinato e fatto sparire il ricercatore Giulio Regeni. Cinque anni d’impunità anche grazie alla cattiva coscienza e alla’ipocrisia dell’intera classe politica e industriale italiana.
Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
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