27 novembre 2020
Questa mattina il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed ha incontrato a Addis Ababa, la capitale dell’Etiopia, i tre mediatori designati da Cyril Ramaphosa, presidente di turno dell’Unione Africana. Il premio Nobel per la Pace 2019, ha ringraziato gli inviati dell’UA, tre ex presidenti, Ellen Johnson-Sirleaf ( Liberia), Joaquim Chissano (Mozambico) e Kgalema Motlanthe (Sudafrica), che hanno tentato una conciliazione volta a porre fine al conflitto tra le truppe di Addis Ababa e il Fronte di Liberazione del Tigray (TPLF).
Gli intermediari non sono stati autorizzati, però, a recarsi nel Tigray per incontrare il presidente, Debretsion Gebrimichal, e gli altri leader dei ribelli.
Il governo etiopico aveva dichiarato in precedenza di non gradire nessuna interferenza o mediazione da parte di organismi internazionali e altri Stati.
In seguito all’incontro con i mediatori dell’Unione Africana, l’ufficio della presidenza ha fatto sapere che il governo cercherà di proteggere i civili e di aver aperto un corridoio umanitario e ha inoltre specificato che i profughi che si sono rifugiati in Sudan, possono tranquillamente tornare nel Paese.
Mercoledì sera è scaduto l’ultimatum di 72 ore stabilito da Addis Ababa al TPLF e ieri mattina Abiy ha ordinato l’offensiva finale a Makallè, il capoluogo del Tigray. Cosa sia realmente successo tra ieri e oggi è davvero difficile sapere. Non solo sono interrotte tutte le comunicazioni (telefoniche e internet) dal 4 novembre scorso, ma anche nessun giornalista straniero è stato autorizzato a recarsi nelle zone di conflitto.
Alcuni diplomatici hanno riferito a Reuters questa mattina che combattimenti sono stati in atto in diverse aree non lontane da Makallé. E, secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, nel capoluogo sarebbero presenti 200 operatori umanitari. Ci si chiede come si intende proteggere la popolazione civile. Il ministro delle finanze di Addis Ababa, Ahmed Shide, ha detto che si cerca non far avvicinare la gente ai luoghi dove si combatte. A questo proposito sono stati dispiegati elicotteri per monitorare la città; sono stati, inoltre, installati cartelloni in tigrino e amarico con l’ordine di stare lontano dalle zone calde. Misure ovviamente non sufficienti, come ha sottolineato Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, che ha aggiunto: “Si moltiplicano le atrocità commesse da entrambe le parti, truppe governative e TPLF”.
Dalle scarse notizie che giungono, sembra che scambi di colpi di artiglieria si siano verificati anche vicino al campo per profughi Adi Harush, che ospita per lo più eritrei scappati in Tigray e che una decina di persone siano state ferite. Nessuno ha ricevuto assistenza medica.
In un comunicato di questa mattina, indirizzato alla comunità internazionale, Getachew Reda, consulente politico del presidente del Tigray, avrebbe chiesto che vengano avviati colloqui e la cessazione delle ostilità.
Intanto si continua a combattere e il coinvolgimento dell’Eritrea non fa altro che inasprire questo atroce conflitto. Fonti certe riportano che ieri è stato lanciato un altro missile tigrino in direzione della ex colonia italiana, ma sarebbe stato intercettato. Era indirizzato verso Nefasit (una decina di chilometri da Asmara), dove si trova un deposito di carburante. E anche stasera si sarebbero sentite alcune esplosioni nella capitale eritrea.
I tigrini, che rappresentano più o meno il 6 per cento della popolazione, hanno dominato la scena politica e militare del Paese fino all’arrivo di Abiy, un oromo, salito al potere nell’aprile 2018, designato dalla coalizione al governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn.
Abiy subito dopo il suo insediamento ha promesso di lavorare per un Etiopia unita e dopo anni di repressione ha liberato migliaia di prigionieri politici. D’altro canto il suo governo ha rimosso la vecchia leadership, per lo più appartenenti al TPLF, accusandola di corruzione e malversazione. Altri sono finiti in galera per crimini come torture e uccisioni.
Dal suo arrivo il giovane leader ha apportato molte riforme, improntate su un maggiore spazio politico, che hanno però anche scoperchiato vecchi rancori repressi, per lo più contenziosi su territori e altre risorse.
A settembre, ben prima dello scoppio del conflitto nel Tigray, secondo OIM (Organizzazione Internazionale per i Migranti), gli sfollati in tutto il Paese erano già oltre 1,2 milioni per altre ostilità in atto in varie regioni dell’Etiopia. Da tempo il secondo Paese più popolato del continente africano è teatro di continui scontri etnici.
Anche se l’Etiopia è unificata politicamente da secoli, la convivenza di più cento milioni di persone, appartenenti a oltre ottanta gruppi etnici, non è semplice. Molti osservatori ritengono che il federalismo etiopico, strutturato su basi etniche, potrebbe essere una delle cause delle rivalità comunitarie, una visione che però non è sempre condivisa.
Africa ExPress
@africexp
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