20 novembre 2020
Il conflitto che si sta consumando in Etiopia da poco più di due settimane si sta trasformando in un’emergenza umanitaria. Oltre 30mila persone hanno già varcato la frontiera con il Sudan per fuggire alle violenze. Finora lo stato di salute delle persone in arrivo è abbastanza buono, riferisce Rachid AlDaou, un operatore della Commissione sudanese per i rifugiati.
Diverse organizzazioni umanitarie, le autorità sudanese e le comunità locali stanno assistendo, per quanto possibile, i fuggiaschi, distribuendo cibo e beni di prima necessità, installando punti d’acqua, montando tende e altri ripari provvisori. Con il continuo arrivo di nuovi rifugiati, dislocati in due campi già esistenti e in uno nuovo, aperto di recente, il lavoro degli operatori umanitari diventa sempre più gravoso e difficile.
Altri disperati sono sfollati nel Tigray. OCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, afferma che solo pochi tra questi riescono a ricevere assistenza, Nella regione il governo centrale ha imposto lo stato di emergenza per sei mesi. La maggior parte delle vie d’accesso sono bloccate, telecomunicazioni e internet sono state interrotte, scarseggiano cash e petrolio che rendono davvero difficile dare una risposta concreta alle necessità alla gente, in particolare alle persone più vulnerabili che hanno dovuto abbandonare le loro case.
E proprio per i sigilli imposti alle comunicazioni di qualsiasi genere, è davvero difficile reperire e controllare le notizie provenienti dal Tigray. E’ finora certo, comunque, che dal 4 novembre – inizio delle ostilità – a oggi, siano morte centinaia di persone da entrambe le parti.
Il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed, sostiene che le sue truppe hanno riportato una serie di vittorie e che presto entreranno nel capoluogo del Tigray, Makallè, città che conta mezzo milione di abitanti, è situata su un altopiano e sede del governo ribelle presieduto da Debretsion Gebremichael e leader del TPLF (Tigray People’s Liberation Front). Ieri è stata bombardata l’università di Makallé. Finora non sono giunte notizie se qualcuno è stato ferito o ucciso.
I combattimenti nella regione si stanno spostando verso il nord, dove sono ospitati quasi centomila profughi eritrei, fuggiti negli anni dalla dittatura di Asmara. Ora nei campi che ospitano i poveracci manca la corrente elettrica, il gasolio per far funzionare i generatori e da giorni non c’è acqua potabile. Lo ha riferito il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric.
Questa notte, invece, le truppe di TPLF hanno lanciato missili a Bahir Dar, il capoluogo del vicino Amhara state, le cui milizie sono state accusate di combattere insieme alle truppe governative contro quelle tigrine.
Fonti ufficiali dell’Ahmara hanno riferito che le esplosioni non avrebbero causato danni.
Tibor Nagy, responsabile per l’Africa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha nuovamente espresso grande preoccupazione per l’espandersi del conflitto, che ormai sta coinvolgendo anche Somalia, Sudan e l’Eritrea, la cui capitale Asmara è stata raggiunta da missili del TPLF lo scorso fine settimana.
Nagy ha anche sottolineato che a questo punto sembra evidente che nessuna delle parti – Abiy e Debretsion – siano più interessati a una mediazione. Intanto 17 senatori statunitensi hanno inviato una lettera al segretario di Stato Mike Pompeo con la richiesta di contattare il primo ministro etiope per un immediato cessate il fuoco.
Nella giornata di ieri il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, originario del Tigray, è stato accusato dal capo di Stato maggiore dell’esercito, Berhanu Jula, di supportare il TPLF, di cercare di procurare armi e supporto diplomatico dai Paesi vicini. Tedros ha respinto energicamente tutte le accuse. Il capo dell’OMS è stato ministro della salute dal 2005 al 2012 quando Meles Zenawi era primo ministro dell’Etiopia. Meles è deceduto nel 2012.
Il conflitto in atto ha scosso anche il comitato Nobel, che istituisce il Premio Nobel per la Pace, del quale il premier etiope è stato insignito nel 2019; ha fatto sentire la sua voce, chiedendo a Abiy di evitare una guerra civile nel suo Paese.
In Etiopia i tigrini hanno dominato la scena politica e militare per quasi trent’anni, fino all’arrivo di Abiy, che ricopre l’incarico di primo ministro da aprile 2018. Non è stato eletto, bensì nominato dalla coalizione al governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn. Il TPLF, in quanto si è sentito emarginato dalle autorità di Addis, ha lasciato la coalizione al potere lo scorso anno.
Si sono sentiti offesi, perché presi di mira e accusati di corruzione e sostengono che il primo ministro occupi la poltrona illegalmente, in quanto il suo mandato è scaduto e le elezioni sono state rinviate a causa della pandemia.
I dissensi tra Addis Ababa e Makallé si sono intensificati a settembre, quando il Tigray ha indetto votazioni regionali contro il parere del governo centrale.
Addis Ababa ha lanciato un’offensiva nella regione ribelle il 4 novembre scorso in seguito a un attacco effettuato da TPLF a una base di Makallé
Africa ExPress
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