Washington, 14 novembre 2020
Il numero 2 di Al Qaeda, accusato di essere una delle menti principali degli attacchi mortali del 1998 alle ambasciate americane in Africa, è stato ucciso in Iran tre mesi fa. Lo hanno confermano al New York Times i servizi segreti. Il quotidiano americano pubblica con ampio rilievo questa mattina un articolo investigativo al quale hanno lavorato ben sei giornalisti: Adam Goldman ed Eric Schmitt da Washington, Farnaz Fassihi da New York e Ronen Bergman da Tel Aviv. Inoltre Hwaida Saad ha contribuito con un reportage da Beirut e Julian E. Barnes da Washington.
Il New York Times racconta che Abdullah Ahmed Abdullah, che si faceva chiamare con il nome di battaglia di Abu Muhammad al-Masri, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco per le strade di Teheran da due assassini che a bordo su una motocicletta il 7 agosto, anniversario degli attentati alle ambasciate di Nairobi e di Dar es Salaam, hanno affiancato la sua automobile. È stato ucciso insieme a sua figlia, Miriam, la vedova del figlio di Osama bin Laden, Hamza bin Laden.
Quattro fonti diverse hanno spiegato al Times che l’attacco è stato compiuto da agenti israeliani su ordine di Washington.. Non è chiaro quale ruolo abbiano avuto gli Stati Uniti, che per anni hanno seguito i movimenti di al-Masri e di altri agenti di Qaeda in Iran.
L’omicidio è avvenuto in un mondo talmente nascosto e segreto fatto di intrighi geopolitici e di spionaggio antiterrorismo; la morte di al-Masri (che in arabo significa “L’Egiziano”) era stata annunciata, ma mai confermata fino ad ora. Per ragioni ancora oscure, Al Qaeda non ha comunicato la morte di uno dei suoi massimi dirigenti, i funzionari iraniani l’hanno insabbiata e nessun Paese ne ha rivendicato pubblicamente la responsabilità.
Al-Masri, che aveva circa 58 anni, era uno dei padri fondatori di Al Qaeda e si pensa fosse il secondo in comando a guidare l’organizzazione terroristica internazionale dopo il suo attuale leader, Ayman al-Zawahri.
A lungo inserito nella lista dei terroristi più ricercati dell’FBI, era stato incriminato negli Stati Uniti per crimini legati agli attentati dinamitardi delle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania, nei quali rimasero uccise 224 persone e ferite centinaia. L’FBI ha offerto una ricompensa di 10 milioni di dollari per le informazioni su di lui. Fino a ieri la sua foto campeggiva ancora nella lista dei ricercati. nel sito dell’FBI.
Il fatto che Al-Masri abbia scelto come suo rifugio l’Iran ha sorpreso un po’ tutti, dato che l’Iran e Al Qaeda sono acerrimi nemici. L’Iran, una teocrazia musulmana sciita, e Al Qaeda, un gruppo jihadista musulmano sunnita, si sono combattuti sui campi di battaglia un po’ ovunque a cominciare dall’Iraq.
I funzionari dei servizi segreti americani sostengono che Al-Masri era in “custodia” dell’Iran dal 2003, ma che dal 2015 viveva liberamente nel distretto dei Pasdaran, un sobborgo di lusso di Teheran.
Ed ecco la ricostruzione ricca di particolari pubblicata dal New York Times. Verso le 21:00, in una calda notte d’estate, il capo terrorista stava guidando la sua Renault L90 bianca vicino a casa sua. Seduta accanto a lui la figlia Mariam. Due uomini armati su una moto gli si sono avvicinati e da una pistola dotata di silenziatore hanno sparato cinque colpi. Quattro proiettili sono entrati nell’auto attraverso il lato del guidatore e il quinto ha colpito un’auto vicina.
Quando è arrivata la notizia della sparatoria, i media ufficiali iraniani hanno identificato le vittime come Habib Daoud, un professore di storia libanese, e sua figlia ventisettenne Maryam. Il canale di notizie libanese MTV e i social media affiliati al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane hanno riferito che Daoud era un membro di Hezbollah, l’organizzazione militante sostenuta dall’Iran in Libano. La storia è sembrata plausibile.
L’attacco è avvenuto in un’estate di frequenti esplosioni in Iran, con crescenti tensioni con gli Stati Uniti, pochi giorni dopo l’enorme esplosione nel porto di Beirut e una settimana prima che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prendesse in considerazione la possibilità di estendere un embargo sulle armi contro l’Iran. E’ stata avanzata l’ipotesi che l’omicidio potesse essere stata una provocazione occidentale volta a indurre una violenta reazione iraniana prima del voto del Consiglio di Sicurezza.
E l’uccisione mirata di due uomini armati su una motocicletta corrisponde al modus operandi dei precedenti omicidi israeliani di scienziati nucleari iraniani. Che Israele avrebbe ucciso un funzionario di Hezbollah, che è impegnato a combattere Israele, sembrava avere senso, tranne per il fatto che Israele da tempo aveva consapevolmente evitato di uccidere gli operativi di Hezbollah per non provocare una guerra.
In realtà, non esiste nessun Habib Daoud.
Diversi libanesi con stretti legami con l’Iran hanno sostenuto di non aver sentito parlare di lui e del suo omicidio. Sui media libanesi l’estate scorsa non è stata pubblicata nessuna notizia su un professore di storia libanese ucciso in Iran. E un ricercatore nel campo dell’educazione con accesso alle liste di tutti i professori di storia del Paese ha detto che non c’è traccia di un Habib Daoud.
Uno dei funzionari dell’intelligence ha raccontato che Habib Daoud era uno pseudonimo che i funzionari iraniani hanno dato al signor al-Masri e che il lavoro di insegnante di storia era una copertura. In ottobre, l’ex leader della Jihad islamica egiziana, Nabil Naeem, che ha definito Al-Masri un amico di lunga data, ha spiegato la stessa cosa al canale di notizie saudita Al Arabiya.
Forse l’Iran aveva buoni motivi per voler nascondere il fatto che stava dando rifugio a un nemico dichiarato, ma è meno chiaro il motivo per cui i funzionari iraniani avrebbero accettato di offrire rifugio al leader di Qaeda.
Secondo alcuni esperti di terrorismo il soggiorno di funzionari di Al Qaeda a Teheran potrebbe aver fornito l’assicurazione che il gruppo non avrebbe condotto operazioni all’interno dell’Iran. I funzionari americani dell’antiterrorismo ritengono invece che il regime degli ayatollah possa aver permesso loro di rimanere per condurre operazioni contro gli Stati Uniti, un avversario comune.
Non sarebbe la prima volta, infatti, che l’Iran ha unito le forze con i militanti sunniti: ha sostenuto infatti Hamas, la Jihad islamica palestinese e i Talebani. “L’Iran usa il settarismo come un pugno di ferro quando fa comodo al regime, ma è anche disposto a trascurare la divisione tra sunniti e sciiti quando fa comodo agli interessi iraniani”, ha spiegato Colin P. Clarke, analista dell’antiterrorismo al Soufan Center.
L’Iran ha costantemente negato di aver dato asilo a operativi di Al Qaeda. Nel 2018, il portavoce del Ministero degli Esteri Bahram Ghasemi ha detto che a causa del lungo e poroso confine dell’Iran con l’Afghanistan, alcuni membri della Qaeda sono entrati in Iran, ma erano stati arrestati e deputati nei loro Paesi d’origine. Tuttavia, i funzionari dei servizi segreti occidentali hanno racontato che i leader di Qaeda sono stati tenuti agli arresti domiciliari dal governo iraniano, che ha poi fatto almeno due accordi con Al Qaeda per liberare alcuni di loro nel 2011 e nel 2015.
Anche se negli ultimi anni Al Qaeda è stata messa in ombra dall’ascesa dello Stato Islamico, rimane comunque radicata con affiliati attivi in tutto il mondo, come è scritto in un rapporto antiterrorismo dell’ONU pubblicato a luglio.
I funzionari iraniani non hanno risposto a una richiesta di commento su questo articolo. I portavoce dell’ufficio del primo ministro israeliano e del Consiglio di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump si sono rifiutati di commentare.
Al-Masri è stato a lungo membro del consiglio di gestione altamente segreto di Al Qaeda, insieme a Saif al-Adl, che a un certo punto si è anche stabilito in Iran. La coppia, insieme a Hamza bin Laden, che stava per prendere il controllo dell’organizzazione, faceva parte di un gruppo di alti dirigenti di Al Qaeda che hanno cercato rifugio in Iran dopo che gli attacchi dell’11 settembre contro gli Stati Uniti li hanno costretti a fuggire dall’Afghanistan.
Secondo un documento top secret prodotto dal National Counterterrorism Center statunitense nel 2008, Al-Masri era il “pianificatore operativo più esperto e capace non sotto la custodia degli Stati Uniti o degli alleati”. Il documento lo descriveva come “l’ex capo dell’addestramento” che “lavorava a stretto contatto” con Al-Adl. In Iran, secondo gli esperti di terrorismo, Al-Masri è stato il mentore di Hamza bin Laden. Hamza bin Laden ha poi sposato Miriam, la figlia di Al-Masri.
“Il matrimonio di Hamza bin Laden non è stato l’unico legame dinastico che Abu Muhammad ha creato in cattività”, ha scritto l’ex agente dell’FBI ed esperto di Qaeda Ali Soufan in un articolo del 2019 per il Centro di lotta al terrorismo di West Point. Un’altra delle figlie di Al-Masri ha sposato Abu al-Khayr al-Masri, nessuna parentela con i nostro, membro del consiglio supremo. Gli è stato permesso di lasciare l’Iran nel 2015 ed è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi in Siria nel 2017. All’epoca era il secondo ufficiale di Qaeda, dopo Zawahri.
Hamza e altri membri della famiglia Bin Laden sono stati liberati dall’Iran nel 2011 in cambio di un diplomatico iraniano rapito in Pakistan. L’anno scorso, la Casa Bianca ha dichiarato che Hamza bin Laden è stato ucciso in un’operazione antiterrorismo in una regione tra l’Afghanistan e il Pakistan.
Abu Muhammad Al-Masri era nato nel 1963 nel distretto di Al Rarbiya, nell’Egitto settentrionale. In gioventù, secondo le dichiarazioni giurate depositate nelle cause legali negli Stati Uniti, è stato un calciatore professionista nella massima lega egiziana. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, si è unito al movimento jihadista contro gli stranieri.
Dopo che il ritiro dei sovietici, 10 anni più tardi, l’Egitto rifiutò di permettere il ritorno di Al-Masri. Rimase in Afghanistan, dove alla fine si unì a Bin Laden nel gruppo che sarebbe poi diventato il nucleo fondatore di Al Qaeda. Nell’elenco dei 170 fondatori figura al settimo posto.
All’inizio degli anni Novanta, viaggiò con Bin Laden a Khartoum, in Sudan, dove iniziò a formare cellule militari. Si recò anche in Somalia per aiutare la milizia fedele al signore della guerra somalo Mohamed Farah Aidid. Lì ha preparato i guerriglieri somali all’uso di lanciarazzi a spalla contro gli elicotteri. I suoi insegnamenti hanno permesso ai militanti di abbattere un paio di elicotteri americani nella battaglia di Mogadiscio del 1993, in quello che oggi è conosciuto come l’attacco Black Hawk Down.
“Quando Al Qaeda ha iniziato a svolgere attività terroristiche alla fine degli anni ’90, Al-Masri era uno dei tre compagni più stretti di Bin Laden, in qualità di capo della sezione operativa dell’organizzazione – ha commentato Yoram Schweitzer, capo del Progetto Terrorismo dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale di Tel Aviv -. Ha portato con sé know-how e determinazione e da allora è stato coinvolto in gran parte delle operazioni dell’organizzazione, con particolare attenzione all’Africa”.
Poco dopo la battaglia di Mogadiscio, Bin Laden ha incaricato Al-Masri di pianificare le operazioni contro gli obiettivi americani in Africa. Avrebbe dovuto organizzare un’operazione drammatica e ambiziosa che, come gli attacchi dell’11 settembre, avrebbe attirato l’attenzione internazionale. Al-Masri decise di attaccare contemporaneamente due obiettivi relativamente ben difesi in Paesi diversi.
Poco dopo le 10:30 del 7 agosto 1998, due camion carichi di esplosivo si sono fermati davanti alle ambasciate americane di Nairobi, in Kenya, e Dar es Salaam, in Tanzania. Le esplosioni hanno incenerito le persone nelle vicinanze, fatto saltare i muri degli edifici e frantumato il vetro per i blocchi circostanti. Nel 2000, Al-Masri è diventato uno dei nove membri del consiglio direttivo di Al Qaeda e ha diretto l’addestramento militare dell’organizzazione.
Ha anche continuato a supervisionare le operazioni in Africa, secondo un ex funzionario dei servizi segreti israeliani, e ha ordinato l’attacco a Mombasa, in Kenya, nel 2002, che ha ucciso 13 keniani e tre turisti israeliani. Nel 2003, Al-Masri era tra i numerosi leader di Qaeda fuggiti in Iran che, sebbene ostili al gruppo, sembravano fuori dalla portata americana. “Credevano che sarebbe stato molto complicato e difficile per gli americani agire contro di loro -. ha detto Schweitzer -. Anche perché credevano che le possibilità che il regime iraniano facesse un accordo di scambio con gli americani che includesse le loro teste fossero molto scarse”.
Al-Masri era uno dei pochi membri di alto rango dell’organizzazione a sopravvivere alla caccia americana agli autori dell’11 settembre e di altri attacchi. Quando lui e altri leader della Qaeda fuggirono in Iran, inizialmente furono tenuti dalle autorità agli arresti domiciliari.
Nel 2015, l’Iran ha annunciato un accordo con Al Qaeda in cui ha rilasciato cinque dei leader dell’organizzazione, tra cui Al-Masri, in cambio di un diplomatico iraniano che era stato rapito nello Yemen. In quel momento le tracce di Abdullah sono svanite, ma secondo uno dei funzionari dell’intelligence ha continuato a vivere a Teheran, sotto la protezione delle Guardie rivoluzionarie e successivamente del Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza. Gli fu permesso però di viaggiare all’estero e lo fece, soprattutto in Afghanistan, Pakistan e Siria.
Alcuni analisti americani ritengono che la morte di al-Masri abbia reciso i legami tra uno degli ultimi leader originari di Al Qaeda e l’attuale generazione di militanti islamisti, cresciuti dopo la morte di Bin Laden nel 2011. “Se è vero, questo taglia ulteriormente i legami tra la vecchia scuola di Al Qaeda e la moderna jihad – ha commentato Nicholas J. Rasmussen, un ex direttore del National Counterterrorism Center -. Non fa che contribuire ulteriormente alla frammentazione e al decentramento del movimento di Al Qaeda”.
Africa ExPress
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Adam Goldman ed Eric Schmitt hanno scritto da Washington, Farnaz Fassihi da New York e Ronen Bergman da Tel Aviv. Hwaida Saad ha contribuito con un reportage da Beirut e Julian E. Barnes da Washington.
Adam Goldman scrive sul F.B.I. da Washington ed è due volte vincitore del Premio Pulitzer. @adamgoldmanNYT
Eric Schmitt è uno scrittore senior che ha viaggiato per il mondo coprendo il terrorismo e la sicurezza nazionale. È stato anche corrispondente del Pentagono. Membro dello staff del Times dal 1983, ha condiviso tre premi Pulitzer. @EricSchmittNYT
Farnaz Fassihi è un giornalista freelance con l’International Desk di New York. Prima di lavorare per il Times, è stata scrittrice senior e corrispondente di guerra per il Wall Street Journal per 17 anni, con sede in Medio Oriente. @farnazfassihi
Ronen Bergman è uno scrittore dello staff del New York Times Magazine, con sede a Tel Aviv. Il suo ultimo libro è “Rise and Kill First”: The Secret History of Israel’s Targeted Assassinations”, pubblicato da Random House.
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