Libano: crisi economica e virus costringono colf africane licenziate a vivere in strada

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Migranti africane sulle strade di Beirut

Africa ExPress
13 ottobre 2020

Sono oltre 250.000 i migranti che vivono e lavorano in Libano, per lo più giovani donne. Tempo fa molte di loro tempo erano impiegate come collaboratrici domestiche. Ora, che il Paese sta attraversando la peggiore crisi economica della sua storia recente, conseguenza della pandemia, tante famiglie non hanno la possibilità di pagare le ragazze. Da mesi, pur di aver un tetto sopra la testa, sono costrette a lavorare gratis.

Ad altre è andato anche peggio. I padroni di casa li hanno semplicemente messe alla porta con i loro pochi averi, senza un soldo in tasca, più povere di quanto erano arrivate, sono costrette a dormire per strada o in alloggi di fortuna.

Migranti africane sulle strade di Beirut

Da un paio di mesi due giovani libanesi, Déa Hage-Chahine e Serge Majdalani hanno preso a cuore la sorte delle giovani africane e grazie al loro impegno sono riusciti a far tornare a casa 120 ragazze africane. Hanno organizzato in rete una raccolta fondi racimolando oltre 35mila dollari per pagare i biglietti aerei e sostenere i costi per i tamponi covid-19. Déa e Serge hanno sbrigato anche tutte le questioni burocratiche e legali per le ragazze.

Serge, un giovane libanese di 33 anni, che vive e lavora a New York, è rimasto esterrefatto quando è tornato a casa quest’estate per far visita ai suoi genitori e ha visto migliaia di migranti davanti alle rispettive ambasciate con la speranza di ricevere un aiuto dal proprio Paese.

In un primo momento aveva pensato di appoggiarsi all’agenzia di viaggi del fratello per far rimpatriare le donne. Era sua intenzione organizzare dei voli charter, sarebbe stata la soluzione ideale, ma il costo era troppo elevato.

Un amico lo ha poi messo in contatto con Déa. Anche lei cercava di aiutare le ragazze. “Una sera ho portato a spasso il mio cane, quando ho visto centinaia di donne, alcune con figli, sole e abbandonate a sé stesse sulle strade di Beirut. Non sono riuscita a far finta di niente”, ha raccontato.

Dèa Hage-Chahine prima della grande crisi lavorava nel settore del marketing. Ora è rimasta senza impiego. Oltre alla raccolta fondi, ha usato parte dei suoi risparmi per pagare l’affitto a gruppi di ragazze africane senza alloggio, nell’attesa di poter tornare a casa.

Déa Hage-Chahine con una giovane migrante a Beirut

 

“Certamente siamo riusciti a cambiare la vita a parecchie persone, ma è solo una goccia nel mare in confronto a ciò che succede qui. Migliaia e migliaia di donne sono disperate”, hanno sottolineato i due giovani libanesi. Le rappresentanze diplomatiche sono poco disponibili, anzi, Serge e Déa hanno rincarato la dose, apostrofandole come corrotte e incapaci a aiutare la propria gente, spesso non rispondono nemmeno al telefono.

Ma già prima della crisi nel Paese non mancavano i problemi per africane e asiatiche. Molte di loro hanno subito violenze di ogni genere presso le famiglie per le quali lavoravano ma raramente le loro denunce sono state prese in considerazione. Basti pensare alla giovane collaboratrice domestica messa in vendita dal suo datore di lavoro su internet per 1.000 dollari. Il suo ex capo è stato poi arrestato dalle autorità libanesi.

In Libano le colf straniere non godono di nessuna protezione, sono escluse dai diritti dei lavoratori. A tutt’oggi per questa categoria viene ancora applicata la Kafala, che vincola la loro residenza legale alla relazione contrattuale con chi l’ha assunta. Ciò significa che un migrante non può cambiare impiego senza autorizzazione del datore di lavoro. Se un dipendente rifiuta, decide di abbandonare l’abitazione senza il consenso del padrone, rischia di perdere il permesso di soggiorno e di conseguenza il carcere e l’espulsione.

Un sistema che equivale a una forma di moderna schiavitù. Il Paese dei cedri attira da anni giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana (Nigeria, Ghana, Etiopia e altri), ma provengono anche dall’Asia (Nepal e Filippine). In un suo rapporto di un anno fa Amnesty international aveva chiesto esplicitamente l’immediata abolizione della Kafala in Libano.

Africa-ExPress
@africexp

Nigeria, l’inferno da dove vengono gli schiavi venduti all’asta in Libia

 

 

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