Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
10 novembre 2020
Stavano facendo il rito di iniziazione maschile ed erano tutti adolescenti, la maggior parte erano stati circoncisi di recente in occasione della cerimonia.
Erano 15, accompagnati da cinque adulti. I loro corpi sono stati trovati nella boscaglia: tutti decapitati, gli adulti fatti a pezzi a colpi di machete. Era un rito tribale importante quanto la cresima della religione cattolica. Con questo rito gli adolescenti acquisiscono il diritto di passare dal mondo dell’adolescenza alla realtà del mondo degli adulti. Ma la rabbia jihadista non rispetta la sacralità degli “altri”, considerati infedeli, e ha portato solo morte.
La conferma dell’eccidio arriva da Pinnacle News, la Rete di comunicazione comunitaria di Cabo Delgado che purtroppo ha dovuto aggiornare le prime informazioni sul massacro. Non sono 20 ma 53 le persone trucidate dai tagliagole, includendo anche un feto.
È successo tra il 31 ottobre e il 4 novembre nel distretto di Muidumbe, 100 km a sudovest di Mocimboa da Praia. I terroristi sono entrati nel villaggio “24 de Março” per ammazzare. Dopo la strage sono entrati in un villaggio vicino dove si teneva un’altra cerimonia di iniziazione. Anche lì hanno decapitato 24 bambini e sei anziani. La popolazione è però riuscita a catturare tre jihadisti che ha decapitato come avevano fatto con le loro vittime. Ma, per l’ennesima volta, i villaggi sono stati distrutti.
Ma ci sono altre decapitazioni. Un insegnante, Damião Males Tangasse, era riuscito a scappare nella boscaglia con la moglie, i due figli e la cognata incinta. La moglie, salva per miracolo, ha raccontato di aver visto i terroristi decapitare il marito. Poi dopo aver picchiato selvaggiamente la sorella incinta, le hanno tagliato la pancia e decapitata e hanno rapito i suoi bambini.
Secondo la popolazione, l’obiettivo dei jihadisti era una vendetta: la decapitazione di 270 persone, il numero di terroristi uccisi dagli ex combattenti nello stesso distretto. Il ministro mozambicano degli Interni, Amade Miquidade, ha confermato che tra il 26 e il 29 ottobre sono stati uccisi 130 insorti. Gli al Shebab, così vengono chiamati dalla popolazione, dal 15 agosto hanno ancora il controllo di Mocimboa da Praia. Hanno anche occupato il porto e dell’aeroporto della città che le Forze governative non riescono a liberare.
Dal 5 ottobre 2017, inizio degli attacchi, i morti sono oltre 2.000 e i profughi in fuga a Cabo Delgado sono diventati 435 mila. Nelle ultime due settimane, a causa della terribile situazione igienico-sanitaria è riesplosa l’epidemia di colera nell’isola di Ibo. Nel momento in cui scriviamo si contano 60 morti.
Negli ultimi otto mesi, sono notevolmente aumentate l’aggressività e la potenza di fuoco dei jihadisti. Anche con la complicità di settori Forze di difesa e sicurezza mozambicane (FDS). Soprattutto quelli del gruppo Ahlu Sunnah wa-Jammá che si sono affiliati all’ISIS. Il Centro de Jornalismo Investigativo (CJI Moz) ha fatto un’indagine di cui abbiamo scritto, facendo anche i nomi dei capi jihadisti. Sono Bonomado Machude Omar, alias Ibn Omar; Abdala Likonga, alias Alberto Shaki; e André Idrissa. Tra le loro attività illecite per autofinanziarsi anche il traffico di organi e il contrabbando di rubini.
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite ha espresso shock per le ultime stragi jihadiste di Cabo Delgado. Ha esortato le autorità del paese dell’Africa meridionale “a condurre un’indagine su questi incidenti e a ritenere i responsabili a rendere conto”. E ha invitato “tutte le parti in conflitto a rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani”. Cosa non facile visto che anche le Forze armate mozambicane (FADM) sono accusate da Amnesty International di violazione dei diritti umani.
Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
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