Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
2 novembre 2020
Ha assunto le forme di vero e proprio spot elettorale pro-Trump il sanguinoso blitz delle forze speciali USA che la notte del 31 ottobre ha condotto alla liberazione del cittadino statunitense Philip Walton, sequestrato tre giorni prima da un gruppo di uomini nel villaggio nigerino di Massalata, a pochi chilometri dal confine con la Nigeria.
“Le forze statunitensi hanno condotto l’operazione di salvataggio nella Nigeria settentrionale – ha spiegato Jonathan Hoffman, portavoce del Pentagono -. Il cittadino americano è sano e salvo ed è ora sotto la custodia del Dipartimento di Stato. Nessun militare statunitense è rimasto ferito. Apprezziamo il sostegno dei nostri partner internazionali nella conduzione di questa operazione. Gli Stati Uniti continueranno a proteggere il nostro popolo e i nostri interessi in qualsiasi parte del mondo”.
La liberazione del ventisettenne Philip Walton è stata annunciata dal Presidente Donald Trump. “Questa notte, sotto la mia direzione, le forze armate degli Stati Uniti d’America hanno condotto con successo un’operazione per liberare un ostaggio americano in Nigeria, sequestrato appena 96 ore prima – ha scritto il Presidente USA -. Le Forze Speciali USA hanno eseguito un’audace operazione notturna con eccezionale abilità, precisione e bravura. L’ex ostaggio gode di buona salute ed è stato riunito con i suoi familiari”.
“Ridare la libertà agli americani tenuti prigionieri all’estero – prosegue la nota della Casa Bianca – è stata una delle maggiori priorità della mia Amministrazione. Sin dall’inizio della mia presidenza, abbiamo liberato 55 tra ostaggi e prigionieri in più di 14 Paesi. L’operazione di oggi dovrebbe servire come un netto monito ai terroristi e ai criminali comuni che credono erroneamente di poter sequestrare cittadini americani impunemente”.
Ancora più cinico e spietato il commento via tweet di Donald Trump jr., figlio del Capo di Stato e vicepresidente della holding finanziaria della famiglia Trump. “Seal Team 6! Sono tutti morti prima di sapere cosa stava accadendo”, ha scritto riferendosi al corpo d’elite protagonista del blitz (il Seal Team Six) e ai sequestratori assassinati. “Con Trump, il mondo ha compreso che far danno a un cittadino americano reca gravi conseguenze, sia che tu sia un leader terrorista come nel caso di al-Baghdadi o Soleimani, o come quanto è appena accaduto con i rapitori in Niger/Nigeria”.
Altrettanto trionfale il commento del Segretario di Stato Mike Pompeo, uno dei membri dell’Amministrazione che più si è speso in queste settimane per garantire la rielezione di mister Trump. “Grazie allo straordinario coraggio e alle capacità dei nostri militari, al sostegno dei nostri professionisti dell’intelligence e ai nostri sforzi diplomatici, l’ostaggio è stato restituito alla famiglia; noi non abbandoneremo mai un nostro concittadino sequestrato”, ha dichiarato Pompeo, immemore che dal 2016 continua a rimanere nelle mani di un gruppo jihadista l’operatore umanitario Jeffrey Rey Woodke, anch’egli rapito in Niger.
Le propagandistiche dichiarazioni di Donald Trump e collaboratori non hanno comunque offerto alcun elemento utile a chiarire alcuni dei punti più oscuri del raid che ha consentito la liberazione del giovane Philip Walton, figlio di un noto missionario evangelico che opera da anni a Massalata. Restano ignote, ad esempio, le modalità con cui sono state condotte le operazioni e l’esecuzione dei sequestratori. Incerto anche il numero delle vittime. Mentre il Dipartimento della Difesa non ha inteso fornire qualsivoglia particolare sulla missione del SEAL Team Six di US Navy, un ufficiale statunitense ha rivelato all’emittente CNN che i militari avrebbero ucciso “sei dei sette rapitori individuati” e che gli stessi “non erano affiliati ad alcun gruppo terroristico operante nella regione, ma semplici banditi interessati al denaro del riscatto”.
La pista “politica” è stata esclusa pure dal governatore della regione nigerina in cui è avvenuto il sequestro, Abdourahamane Moussa. Intervistato da un giornalista francese, Moussa aveva riferito che erano stati “sei uomini a bordo di motociclette, armati di fucili d’assalto AK-47” a prelevare il cittadino statunitense dalla sua abitazione. “I banditi – ha proseguito – avevano chiesto del denaro, ma in seguito avevano deciso di portarlo via con loro verso il confine con la Nigeria”. Secondo una fonte militare del quotidiano The Washington Post, i sequestratori avrebbero chiesto ai familiari un riscatto di un milione di dollari, minacciando in caso contrario di consegnare Philip Walton a un non meglio identificato “gruppo di estremisti”.
Pure la rete tv ABC News ha sostenuto che ci sarebbe un sopravvissuto tra i rapitori, anche se non sono note le sue condizioni fisiche e dove eventualmente sarebbe stato condotto dopo il raid. “La missione anti-terrorismo del commando d’élite è stata solo una parte di uno sforzo molto più grande”, ha dichiarato ad ABC News un analista militare. Le informazioni utili a individuare in territorio nigeriano il cittadino sequestrato sarebbero stati forniti agli uomini del SEAL Team Six direttamente dalla Central Intelligence Agency (CIA), mentre l’indispensabile supporto operativo-logistico sarebbe stato fornito dalle unità per le operazioni speciali del Corpo dei Marines USA presenti in Africa nord-occidentale.
Per il trasferimento in Nigeria del commando SEAL, sarebbe stato utilizzato un grande velivolo cargo C-17A “Globemaster III”, mentre al raid avrebbero partecipato due convertiplano CV-22B “Osprey” e due Lockheed MC-130 del Comando per le Operazioni Speciali dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti, più una “cannoniera volante” AC-130, un pattugliatore marittimo P-8A “Poseidon” e un aereo cisterna per il rifornimento in volo. Alcuni di questi velivoli – sempre secondo le fonti fiduciarie dei network tv – sarebbero decollati dalla grande stazione aeronavale di Rota, in Spagna.
Denominato anche United States Naval Special Warfare Development Group, il SEAL Team Six è il corpo d’élite più segreto delle forze per la guerra “non convenzionale” e anti-terrorismo della Marina militare USA. I compiti del reparto d’eccellenza spaziano dal “salvataggio di ostaggi civili e militari”, all’infiltrazione in territorio ostile, navi, basi militari e impianti petroliferi, ecc., alle operazioni di spionaggio e “anti-pirateria” in Corno d’Africa e Golfo di Guinea.
Sotto le dipendenze del Joint Special Operations Command, il Comando interforze per le operazioni speciali di Fort Bragg (Carolina del Nord), il SEAL Team Six è di stanza presso il Training Support Center Hampton Roads di Virginia Beach (Virginia), ma può contare su alcune installazioni strategiche d’oltremare, come ad esempio Rota in Spagna, NAS Sigonella in Sicilia e Gibuti.
Fu l’amministrazione di Ronald Reagan a volerne la costituzione dopo il disastroso tentativo delle forze armate “regolari” di liberare 52 ostaggi nell’ambasciata statunitense a Teheran (Iran) il 24 e 25 aprile 1980, operazione ordinata dall’allora presidente Jimmy Carter. Oltre che nel continente africano e più recentemente in Siria e Yemen, il SEAL Team Six è stato chiamato a condurre a stretto contatto con la CIA diverse operazioni top secret in Afghanistan, Iraq e Pakistan, la più nota tra tutte è stata quella che ha consentito di individuare e assassinare Osama bin Laden, il 2 maggio 2011 ad Abbottabad (Pakistan).
Secondo un documentato reportage del New York Times pubblicato il 7 giugno 2015, il SEAL Team Six è il reparto d’eccellenza del cosiddetto “Programma Omega”, un piano studiato dal Pentagono ed approvato dalla Casa Bianca “per portare avanti operazioni negabili dal governo, cioè che lo potrebbero imbarazzare se venisse scoperto che vi hanno preso parte unità militari americane”. Giornalisti d’inchiesta e organizzazioni non governative internazionali hanno documentato come il corpo d’élite si sia macchiato in questi anni di “omicidi ingiustificati, mutilazioni, e altre atrocità che sono state tollerate e coperte dal Comando USA”, specie nella sporca guerra contro il terrorismo in Afghanistan e Iraq.
Le “eroiche” gesta del Seal Team Six sono note anche in Italia: il 10 ottobre 1985 un suo commando fu trasferito segretamente a Sigonella con due aerei da trasporto C-141 “Starlifter” per prendere in consegna i sequestratori palestinesi della nave da crociera Achille Lauro, dopo che l’aereo di linea egiziano che li avrebbe dovuto condurre a Tunisi era stato costretto ad atterrare nella base siciliana da alcuni caccia USA. La deportazione negli Stati Uniti del gruppo palestinese fu impedita dai militari di leva dell’Aeronautica italiana e dai Carabinieri, in quella che la storia ricorda come la lunga notte di Sigonella, uno dei rarissimi atti di rivendicazione della sovranità nazionale di fronte all’arrogante e onnipotente alleato d’oltre-oceano.
Antonio Mazzeo
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