Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
22 ottobre 2020
Il Centro de Jornalismo Investigativo del Mozambico (CJI Moz) ha tracciato i profili dei tre capi jihadisti che stanno trucidando le popolazioni di Cabo Delgado. L’estremo nord del Mozambico è sotto attacco dal 5 ottobre 2017: distruzione dei villaggi, uccisioni, decapitazioni, rapimenti soprattutto di donne diventate schiave sessuali. La violenza e la distruzione degli islamisti radicali è andata aumentando come è cresciuto il livello delle armi usate: dai machete ai kalashnikov e lanciagranate. Oltre al livello di crudeltà dei tagliagole.
Come scritto nella prima parte del reportage, sono Bonomado Machude Omar, alias Ibn Omar; Abdala Likongo, alias Alberto Shaki; e André Idrissa, alias Amir. Questi tre, e non solo loro, sono responsabili, fino ad oggi, della morte di almeno 2.000 persone e di aver causato 300 mila sfollati. Ma vediamo cosa ha scoperto il CJI.
Ibn Omar, il cervello degli attacchi a Cabo Delgado
Bonomado Machude Omar, 1,90 di altezza, è riconoscibile non solo per la statura. Veste di nero, il colore di ISIS, e fascia nera sulla testa con scritto in arabo “La Ilaha Illallahi” (non ci sono altri dei ma Allah). È protagonista di un video mentre parla ai jihadisti che nel marzo scorso è diventato virale. “Ibn Omar è stato descritto come il cervello dietro gli attacchi dei ribelli a Cabo Delgado. Si dice che definisca tutti gli obiettivi e la logistica operativa necessaria”, scrive CJI. È chiamato “Re della foresta”.
Figlio di un insegnante e politico locale, è nato nel distretto di Palma. È l’area dei giacimenti di gas naturale (LNG/GNL) dove operano ENI, ExxonMobil e Total, difesa da almeno 300 militari. Ibn Omar ha trascorso parte della sua infanzia a Mocimboa da Praia dove ha frequentato le scuole fino alle superiori. Ha studiato l’Islam in vari paesi per tornare in Mozambico dove ha trovato lavoro presso l’Africa Muslim Agency, a Pemba, capitale di Cabo Delgado.
“C’era qualcosa di strano in lui – ha raccontato una fonte a CJI. – Si poteva sospettare del suo coinvolgimento negli attacchi a causa della discordia seminata da alcuni dei giovani cui insegnava. Diceva che ciò che hanno fatto è ciò che Allah vuole e ha giustificato il loro estremismo perché è ciò che fanno i musulmani puri”.
Alberto Shaki, il macellaio vampiro che seziona e vende organi umani
Abdala Likonga, è stato addestrato in Kenya e Congo. Si fa chiamare il “Fantasma della selva” perché, dopo l’attacco del 5 ottobre 2017, ha fatto credere di essere morto. Uno stratagemma che ha ingannato le autorità mozambicane al punto che lo hanno arrestato senza sapere che era lui. Ed è stato rilasciato dopo una settimana.
“Gli hanno insegnato a bere il sangue umano per eliminare il rimorso – affermano fonti CJI -. Ha imparato, e insegna agli altri, ad asportare reni, polmoni, cuore, genitali maschili e gola (esofago, ndr) che poi vende. Sa essere un assassino a sangue freddo usando il nome Allah e sa portare disaccordo tra noi seguaci della religione islamica”. Ha una moglie e quattro figli che spariscono qualche giorno prima degli attacchi e riappaiono qualche giorno dopo.
Amir, arrestato e ucciso in Niassa
Anche André Idrissa, 34 anni, è tra i terroristi che hanno partecipato al primo attacco jihadista, di Mocimboa da Praia. Figlio di un notabile musulmano di corrente filosofica/moderata sufi “tradizionalista africana” ha una scolarizzazione equivalente alla nostra seconda media inferiore. Tre mogli e quattro figli, parlava makua, mwani, swahili (lingue locali) e portoghese. Conosciuto come commerciante, aveva iniziato con la vendita di beni di prima necessità e poi con pezzi di ricambio per moto che acquistava in Tanzania.
Proprio in Tanzania era entrato in contatto con alcuni sceicchi che seguono l’islam radicale. Si era radicalizzato a Macomia, una delle cittadine di Cabo Delgado, centro di numerosi attacchi jihadisti. Ha rinnrgato l’islam del padre, che considerava infedele, e aderito al gruppo Ahlu Sunnah wa’Jamaà (seguaci della tradizione del profeta), di tendenza wahabita. Poi è passato, al gruppo che viene chiamato localmente Al-Shebab. Dopo l’attacco di Mocimboa da Praia era riuscito a fuggire nella provincia di Nampula. Le ultime notizie lo danno per morto – nella provincia del Niassa – dopo essere stato catturato dalle autorità mozambicane.
I tre conoscono bene il territorio, ora si capisce meglio perché Mocimboa da Praia è il centro degli attacchi a Cabo Delgado.
(3/4 – continua)
Sandro Pintus
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