Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
5 ottobre 2020
Era stata pronosticata come la maratona più veloce di sempre.
Era stato annunciato come l’evento atletico dell’anno.
Qualcuno si era spinto a parlare della sfida del secolo tra il kenyano Eliud Kipchoge, primatista del mondo, e l’etiope Kenenisa Bekele, il secondo maratoneta più veloce della storia.
Niente di tutto ciò è avvenuto alla Virgin Money London Marathon disputatasi ieri, domenica 4 ottobre, nel circuito chiuso intorno a St Jame’s Park nel centro della capitale britannica.
Kenenisa Bekele nato nel 1982 a Bekoji, città dei corridori (Etiopia centrale), non è neppure sceso in pista per un problema a una caviglia. A Berlino lo scorso anno aveva segnato il secondo miglior tempo della storia con 2h01’41”. A Londra si era piazzato terzo (2016) e secondo (2017) mentre nella sua ultima apparizione (2018) non era andato al di là dell’ottavo posto.
La stessa posizione in cui si è classificato ieri quello che viene considerato il più grande maratoneta di tutti i tempi: Eliud Kipchoge, classe 1984, di Kapsisiywa (Kenya), altra terra di runners. Di lui abbiamo scritto e di lui si sa tutto, perfino che si pulisce i gabinetti: campione olimpionico in carica, primatista mondiale grazie al 2h01’39” corso a Berlino nel 2018, vincitore a Londra nel 2015, 2016, 2018 e 2019 e unico ad aver corso sotto le 2 ore i 42.195 km (primato non omologato), ieri è miseramente naufragato, a due giri dal termine, sotto la pioggia battente.
“Un dio è caduto, anche lui è umano” hanno subito commentato molti esperti dopo la debacle di ieri, nonostante calzasse un nuovo super modello (super criticato, ma omologato) di scarpe detto Alphafly Next%. Una conferma che per vincere non esistono calzature magiche, dalla tecnologia estrema: occorrono gambe.
Molto umano, ma fortissimo, è invece apparso il vincitore Shura Kitata Tola, 24 anni, etiope. Ha coperto la distanza in 2h05’45”: appena un secondo di vantaggio sul kenyano Vincent Kipchumba, 30 anni, 4 secondi sul connazionale Sisay Lemma Kasaye, 30 anni.
Shura Kitata non è proprio uno qualunque: due anni fa era giunto secondo a New York e a Londra. Ora con uno sprint mozzafiato ce l’ha fatta a tagliare per primo il traguardo davanti a Buckingham Palace. Lasciandosi dietro uno stuolo di etiopi: il quarto, Mosinet Geremew, 28 anni, il quinto, Mule Washium, 27, il sesto, Tamira Tolat, 29, davanti ad altri due del Kenya (Benson Kipruto e appunto Kipchoge). Insomma il solito derby africano stavolta dominato da Addis Abeba. Per Nairobi consolazione in campo femminile: Brigid Jepchirchir Kosgei, 26 anni, detentrice del record mondiale, ha replicato il successo dello scorso anno e al terzo posto è arrivata Ruth Chepngetich, 26.
“Sono ultrafelice della vittoria, considerato il valore dei miei avversari. La dedico al mio Paese e ai miei compagni – ha commentato a caldo Kitata – Porterò personalmente ad Addis Abeba la medaglia al mio allenatore, Haji Adilo, che non è potuto venire a Londra perché risultato positivo al Covid 19″. Come più umana è stata la maratona di Londra, dopo la cancellazione di quelle di Boston, Berlino, Chicago, e New York.
Sicuramente, a causa dell’emergenza sanitaria, è stata – come ha dichiarato Hugh Brusher, direttore di London Marathon – quella più surreale, più strana tra tutte quelle disputate. Niente pubblico, nessuna partenza da Greenwich, solo circuito cittadino, premi dimezzati, nessuna partecipazione dei 43 mila iscritti, (solo i top runners), nessun record spaziale. E gli atleti chiusi un una bolla di biosicurezza con rigide linee guida su test, viaggio, alloggio e competizione. Era persino vietato rispondere al telefono in camera. E per evitare ogni rischio di contagio il direttore Brasher aveva inviato da Londra un aereo privato a prendere Eliud e gli altri atleti.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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