Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
3 ottobre 2020
David Shearer, rappresentante del segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in Sud Sudan e a capo dei caschi blu nel Paese (UNMISS), qualche giorno fa ha fatto il punto della situazione in Sud Sudan, sui progressi e insuccessi del trattato di pace, siglato nel 2018.
Uno dei maggiori problemi ancora aperti resta l’unificazione degli eserciti, ribelli e regolari sono stati responsabili della morte di ben oltre 380 mila persone durante il conflitto interno iniziato nel 2013.
Quando finalmente le truppe sono state radunate per esercitazioni in comune, dopo poco hanno disertato per la mancanza di cibo e altri servizi essenziali. Shearer ha espresso grande preoccupazione, perchè potrebbero esplodere nuove violenze. “I ribelli sono stati illusi di essere inseriti nell’esercito regolare e ora sono ritornati nei loro villaggi senza nulla di fatto”, ha precisato il capo di UNMISS.
Shearer ha anche sottolineato che l’Assemblea nazionale non è ancora stata costituita, parecchie leggi non sono state adottate, la preparazione della nuova Costituzione è in una fase di stallo. Le elezioni previste per il 2022 potrebbero essere rinviate per i gravi ritardi accumulati. E ha inoltre rimproverato al governo di riunirsi troppo irregolarmente.
Il diplomatico si è anche soffermato sul problema delle finanze in quanto la Commissione per i diritti umani in Sud Sudan ha accusato politici di primo piano e alti funzionari di appropriazione indebita di fondi pubblici di decine di milioni di dollari dal 2016. Solo pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto della Commissione, il presidente Salva Kiir aveva silurato il ministro delle Finanze, il capo dell’autorità tributaria e il direttore della compagnia petrolifera statale.
E Yasmin Sooka, a capo della Commissione nel Sud Sudan, senza peli sulla lingua ha aggiunto: “E’ davvero incredibile che questi crimini siano stati commessi con l’aiuto di società e banche internazionali. Molte vite sono andate distrutte a causa della corruzione. E l’elite politica ha combattuto solo per ottenere il controllo delle risorse di petrolio e minerarie del Paese, defraudando la popolazione del proprio futuro”.
Intanto la situazione umanitaria è peggiorata dopo le recenti inondazioni, che ha messo in ginocchio oltre 600 mila persone. Il World Food Programme ha chiesto aiuto al resto del mondo per venire incontro alle popolazioni di questa nazione già così provata da anni di guerra civile.
Corre l’anno 2011, quando i primi di febbraio Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, annuncia i risultati del referendum: il 98,83 per cento delle schede sono a favore della secessione; i sud sudanesi scelgono l’indipendenza. La vittoria dei sì – giunta dopo oltre trent’anni di guerra – viene festeggiata nelle città e nei villaggi del sud. Ma, secondo gli accordi di pace, l’indipendenza viene proclamata il 9 luglio 2011.
Le speranze, la gioia della gente sono ben presto seppellite quando il presidente Salva Kiir Mayardit accusa il suo vice Riek Marchar di complottare contro di lui e aver tentato un colpo di Stato. Iniziano i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri risalgono al il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto raggiungono anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti non fanno che alimentare questo conflitto.
L’ennesimo trattato di pace viene firmato nell’estate del 2018, ma solo a febbraio di quest’anno è sciolto il vecchio governo. Kiir, il presidente, resta al suo posto, mentre Machar viene nuovamente insediato come primo vice-presidente. Durante la cerimonia tenutasi nella capitale Juba, Kiir dichiara ufficialmente conclusa la guerra, aggiungendo: ” “Dobbiamo perdonarci a vicenda e estendo questo appello alle popolazioni di etnia dinka e nuer”, i due gruppi etnici rivali.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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