Antonella Beccaria
30 agosto 2020
“Oggetto: nuova strategia della tensione in Italia. Periodo: marzo-luglio 1992. […] Informo la Vostra Signora che […] avverranno fatti intesi a destabilizzare l’ordine pubblico come:
– esplosioni dinamitarde intente [sic] a colpire quelle persone “comuni” in luoghi pubblici;
– sequestro ed eventuale “omicidio” d’esponente politico Psi, Pci, Dc;
– sequestro ed eventuale “omicidio” del futuro presidente della Repubblica.
Tutto questo è stato deciso a Zagabria – Yu – (settembre ’91) nel quadro di un “riordinamento politico” della destra […]. La “storia” si ripete – dopo quasi quindici anni ci sarà un ritorno alle strategie omicide – per conseguire i loro intenti, falliti. Ritorno, come l’Araba Fenice”.
Era il 4 marzo 1992 quando un detenuto del carcere di Sollicciano mise per iscritto queste sibilline parole destinate al giudice di Bologna, Leonardo Grassi, titolare dell’istruttoria Italicus Bis sulla strage del 4 agosto 1974 che uccise dodici persone e ne ferì 48. La lettera aveva anche un titolo, “dossier della destabilizzazione”, e lì per lì fu liquidata come le solite menzogne di un bugiardo, considerando chi era l’autore.
Poi, però, il 12 marzo successivo, a Palermo fu assassinato Salvo Lima, il politico democristiano che rappresentava in Sicilia il potere andreottiano e il 23 maggio saltò per aria l’autostrada di Capaci provocando la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre uomini della sua scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Infine il 19 luglio, ultimo mese indicato nel “dossier”, in via D’Amelio, sempre a Palermo, un’autobomba assassinò un altro magistrato, Paolo Borsellino, e cinque agenti, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Il detenuto non era un sensitivo, ma a tutt’oggi è rimasta inspiegata l’origine del suo vaticinio. Si tratta di Elio Ciolini, ai tempi detenuto da pochi mesi a causa di una condanna per calunnia e autocalunnia determinata dalle falsità che disse per depistare le indagini sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Latitante da tempo in Perù, l’uomo era stato individuato nel dicembre 1991 a Firenze, dov’era arrivato via Zurigo e Bruxelles con il nome di Raul Bruno Sanchez Rivera, lo stesso che negli ultimi mesi ha usato per entrare nella Repubblica Centrafricana diventando “consulente speciale del presidente”
Nato a Firenze il 18 agosto 1946, di Ciolini non si avevano notizie dal settembre 2012, quando era stato arrestato sotto falso nome all’aeroporto internazionale di Otopeni, a Bucarest, Romania. Proveniva da Zurigo ed era ricercato per manipolazione del mercato, oltre a essere coinvolto nella ricettazione di falsi titoli di Stato americani. Ma il suo esordio criminale, dopo aver accumulato precedenti penali per reati di altra natura, si lega soprattutto alla strage di Bologna del 1980, la più grave avvenuta nell’Italia del dopoguerra (85 morti e oltre duecento feriti).
Nel dicembre 1981, infatti, Ciolini si trovava rinchiuso a Ginevra, a Champ Dollon, lo stesso da cui evase Licio Gelli nell’agosto 1983, e fece sapere al console italiano Ferdinando Mor di essere in possesso di notizie riguardanti il massacro alla stazione. Negli anni successivi continuò a mentire all’ufficio istruzione di Bologna raccontando nella sostanza che la bomba del 2 agosto era stata decisa nella primavera del 1980 da una loggia massonica internazionale, la loggia di Montecarlo, una sorta di super-P2 al cui vertice c’era sempre Gelli e che radunava il fior fiore della politica e della finanza italiane. Movente: era una tragica operazione di distrazione di massa per distogliere l’attenzione da manovre legale all’Eni.
La preparazione e l’esecuzione – sempre nelle parole di Ciolini – sarebbe stata affidata alla fantomatica “Organizzazione terroristica” di Stefano Delle Chiaie (per Bologna è stato assolto per insufficienza di prove). In effetti il fiorentino aveva conosciuto e frequentato il leader della formazione neofascista Avanguardia Nazionale durante uno dei periodi trascorsi in America Latina e fu abile nel costruire il suo castello di menzogne perché Ciolini, che in carcere in Svizzera incontrò uomini del Sismi e ufficiali dell’Arma dei carabinieri, mescolò informazioni vere con elementi tossici. Tuttavia, come nel caso della stagione stragista del 1992, non si è capito come abbia potuto avere accesso a dati di fatto che andavano oltre le cronache giornalistiche.
La strage di Bologna non è stato però l’unico caso in cui Ciolini ha raccontato il falso. Lo stesso ha fatto per un’altra vicenda rimasta oscura. È la fine di due giornalisti italiani, Graziella De Palo, 24 anni, e Italo Toni, 50. Il 2 settembre 1980 – esattamente 40 anni fa – erano a Beirut, dov’erano giunti via Damasco, per realizzare reportage sul Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, ma sparirono nel nulla dopo aver lasciato l’albergo Triumph, nella zona ovest della città. Di loro non si è mai più saputo nulla, nemmeno i corpi sono mai stati restituiti alle famiglie, ma ciò che si sa per certo è che il Sismi depistò le indagini su ciò che era accaduto loro. E Ciolini, in proposito, tra l’altro affermò falsamente che i due cronisti erano stati assassinati perché nelle loro ricerche si erano imbattuti in un importante politico, il socialista Gianni De Michelis.
Il depistatore italiano, a lungo molto vicino a uomini legati alla P2, di frequente è stato associato ad apparati di intelligence italiani e stranieri e lui stesso si presentò come tale nelle sue peregrinazioni all’estero. In particolare accadde in Belgio, dove tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta operava una banda, capeggiata da Patrick Haemer, poi morto suicida in carcere, specializzata nell’assalto ai furgoni portavalori.
Con lui entrò in contatto Ciolini che, ai tempi, si faceva chiamare colonnello Bastiani, sedicente ufficiale dell’esercito francese. Il suo compito sarebbe stato quello di infiltrarsi nella banda Haemer nel periodo in cui il Belgio francofono era scosso da una delle sue principali storie criminali: quella dei massacri del Brabante Vallone che, dal 1982 al 1985, provocarono la morte di 28 persone, per la maggior parte semplici cittadini falciati dai proiettili sparati da una banda all’apparenza di rapinatori che si muovevano come militari addestrati, ma che uccidevano senza quasi mai rubare nulla.
Antonella Beccaria
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