Cornelia I. Toelgyes
24 agosto 2020
Mentre il mondo è concentrato sulla pandemia, la Repubblica Democratica del Congo deve anche combattere l’undicesima epidemia di ebola, scoppiata il 1° giugno 2020 nel nord del Paese, nella provincia dell’Equatoria, sulle rive del fiume Congo.
Finora sono stati segnalati oltre 100 casi, quasi il doppio di cinque settimane fa, mentre i morti sono già 43.
La patologia si è manifestata inizialmente nel capoluogo Mbandaka ; nel giro di poco tempo ha raggiunto ben 11 delle 17 zone sanitarie della provincia. Molte aree sono difficilmente raggiungibili, le comunità affette da ebola vivono in luoghi rurali, circondati da grandi boschi. In molti casi gli operatori sanitari devono viaggiare diversi giorni prima di arrivare a destinazione per prestare cure ai malati e per rintracciare le persone entrate in contatto con chi presenta sintomi della patologia.
Già nel maggio di due anni fa un’altra epidemia di ebola si era manifestata nella stessa zona, fortunatamente debellata in meno di tre mesi. L’attuale infezione desta, invece, maggiore preoccupazione. “Cento casi in meno di cento giorni non sono pochi. Gli interventi richiedono tempo, sono difficili e costosi, in quanto è necessario prendere anche le dovute precauzioni contro Covid-19”, ha precisato Matshidiso Moeti, direttore generale per l’Africa dell’Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS). Inoltre i finanziamenti messi in campo sarebbero insufficienti per far fronte a questo nuovo focolaio del mortale virus.
E infatti, all’inizio di agosto gli operatori sanitari, incaricati di contrastare l’espandersi di ebola, hanno scioperato per diversi giorni, perché rimasti senza stipendio dall’inizio di giugno. Ora la situazione sembra rientrata. La maggior parte del personale è stato reclutato in loco, mentre OMS ha messo in campo 90 suoi esperti, e altri 20 sono arrivati da organizzazioni che collaborano con l’ONU.
Nel frattempo anche Covid-19 non si arresta. Finora sono stati registrati quasi 10.000 casi, mentre i morti sono 251. Relativamente pochi rispetto a altri Paesi del continente: oltre 600.000 persone infette in Sudafrica, seguito da Nigeria con 51.905, Ghana con 43.325 e Algeria con 41.068. In tutta l’Africa i decessi sono stati poco più di 27.000.
Neppure ebola e coronavirus, hanno fermato violenze e massacri. Nei giorni scorsi sono state brutalmente ammazzate 13 persone da miliziani del gruppo armato Allied Democratic Forces, un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995.
Le malcapitate vittime stavano lavorando nei loro campi in località di Matiba (Beni), quando sono state sorprese da sanguinari miliziani di ADF. Alcune organizzazioni per la difesa dei diritti umani lamentano il crescente aumento delle aggressioni nell’area di Beni. Dall’inizio dell’anno a oggi hanno perso la vita almeno 400 persone per mano del gruppo armato ADF.
Il 1° di giugno 2020 Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, con grande preoccupazione ha fatto sapere che negli ultimi otto mesi sono morti oltre 1.300 civili in diversi conflitti tra gruppi armati e forze di sicurezza congolesi.
Nel suo comunicato la Bachelet ha evidenziato che se da un lato i vari raggruppamenti hanno commesso massacri e atrocità indescrivibili, dall’altro anche i militari sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in diverse zone della ex colonia belga.
Alcuni di queste violazioni possono essere considerate come veri e propri crimini contro l’umanità o crimini di guerra, in particolare nelle province di Ituri e Nord-Kivu.
Ma la piaga maggiore, la più grande delle epidemie che il Congo-K deve affrontare, è la corruzione galoppante che si dilaga da anni a macchia d’olio in tutto il Paese. In una lettera firmata da più senatori degli Stati Uniti d’America, si chiede all’attuale presidente del governo Kinshasa, Felix Tshisekedi, di intensificare la lotta contro la corruzione, di smantellare il sistema cleptocratico instaurato dal suo predecessore Jospeh Kabila, affinchè il popolo congolese possa davvero approfittare delle immense ricchezze del Paese.
Nel frattempo si continua a morire di fame nelle putride galere. Due detenuti sono stati trovati senza vita nelle loro celle della prigione di Kwango, nella parte occidentale del Congo-K. Il direttore del penitenziario, Noé Tshala, ha ammesso senza mezzi termini: “Certamente sono morti di fame, non mangiavano da giorni, in quanto la struttura è priva di cibo. Viviamo solamente di beneficenza. Dall’inizio dell’anno il governo centrale ha tolto tutti sussidi”.
Sì, nel Congo-K si muore anche nelle prigioni se non si hanno soldi o conoscenze. Nella capitale Kinshasa, invece, Vital Kamerhe, ex direttore del gabinetto del presidente, già condannato in prima grado a 20 anni di galera per corruzione e appropriazione indebita, è stato trasferito nella notte in un ospedale della capitale per indisposizione. Giorni fa i suoi avvocati avevano chiesto gli arresti domiciliari per il loro assistito; i giudici avevano negato tale opzione a Kamerhe.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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