Africa ExPress
L’Aja, 19 agosto 2020
Uno dei quattro accusati di aver ucciso a Beirut nel 2005 l’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, è stato condannato ieri dal tribunale speciale dell’ONU per il Libano. Si tratta di Salim Ayyash. Assieme agli altri – Assad Sabra, Hassan Oneissi e Hassan Habib Merhi, prosciolti – tutti del gruppo militante sciita Hezbollah, è stato processato in contumacia perché Hezbollah si è rifiutato di rivelare il luogo dove si trovano gli imputati.
L’uccisione di Rafik Hariri, uno dei più importanti politici musulmani sunniti del Libano, ha causato indignazione in tutto il Paese. La sentenza arriva in un momento di profonda crisi politica in Libano.
Il verdetto del Tribunale speciale per il Libano (STL) – un organismo internazionale con sede nei pressi dell’Aja, in Olanda – è arrivato più di 15 anni dopo l’uccisione di Hariri, avvenuta il 14 febbraio 2005, morto insieme ad altre 21 persone nell’enorme esplosione nella capitale, Beirut.
“Accettiamo il verdetto del tribunale e vogliamo che sia fatta giustizia”, ha detto l’ex primo ministro Saad Hariri, aggiungendo che vuole “una giusta punizione” per i criminali. Hariri ha detto che coloro che hanno assassinato suo padre volevano “cambiare il volto del Libano e del suo sistema e la sua identità civile” e ha detto che non ci sarà “nessun compromesso” su questa questione.
Ha aggiunto che comunque si aspettava che dal processo emergessero maggiori informazioni. “Credo che le aspettative di tutti fossero molto più alte di quelle emerse, ma credo che il tribunale sia uscito con un risultato soddisfacente”, ha dichiarato ai giornalisti.
I quattro membri della milizia iraniana e del partito politico Hezbollah sostenuti dall’Iran sono stati accusati di aver organizzato e portato a termine l’attacco, anche se il gruppo non è stato formalmente accusato e ha negato qualsiasi coinvolgimento. Stessa cosa per Teheran che alla fine è risultata essere estranea all’attacco.
Ayyash è stato giudicato colpevole di cospirazione per aver commesso l’ atto terroristico, che ha ucciso Hariri, e altre 21 persone e di aver tentato di ucciderne altre 226 sempre in quell’attentato del 14 febbraio 2005.
Secondo i giudici le prove hanno dimostrato che Ayyash era in possesso di uno dei sei telefoni cellulari usati dalla squadra che ha assassinato Hariri. L’omicidio del miliardario uomo d’affari e politico ha fatto sprofondare il Libano in quella che allora era la sua peggiore crisi dai tempi della guerra civile del 1975-90, ponendo le basi ad anni di scontri tra fazioni politiche rivali.
Le forze siriane, stanziate in Libano per più di 40 anni, sono state costrette a ritirarsi dal Paese, poiché molti libanesi hanno accusato Damasco dell’attentato. Per altro il governo di Bashar al-Assad ha negato qualsiasi coinvolgimento.
Gli altri tre imputati sono stati assolti, mentre un quinto uomo – Mustafa Badreddine, comandante dell’ala militare di Hezbollah – è stato ucciso in Siria nel 2016. I procuratori lo avevano descritto come “organizzatore generale dell’operazione” per assassinare Hariri.
Il presidente del tribunale, David Re, ha anche chiarito che non c’erano prove dirette che implicassero la leadership di Hezbollah o di uno dei suoi sostenitori, la Siria, nell’attentato. La Corte ha però scoperto che l’omicidio è stato motivato politicamente: “E’ stato un atto di terrorismo progettato per causare paura nella popolazione libanese”. Poi ha aggiunto leggendo il verdetto: “Il tribunale ha provato oltre ogni ragionevole dubbio che un attentatore suicida abbia innescato l’esplosione”.
Il tribunale ha scagionato i dirigenti di Hezbollah e della Siria per mancanza di prove. “Siamo del parere che la Siria e Hezbollah possano aver avuto motivi per eliminare Hariri e alcuni dei suoi alleati politici”, ha detto Re. “Tuttavia, non c’erano prove che la leadership di Hezbollah fosse coinvolta nell’omicidio e non ci sono prove dirette del coinvolgimento siriano”.
Hezbollah ha costantemente negato qualsiasi coinvolgimento. Il tanto atteso verdetto è stato ritardato dall’esplosione devastante al porto di Beirut due settimane fa, che ha portato alle dimissioni del governo, già contestato da mesi di proteste per il crollo della moneta e l’alto tasso di disoccupazione.
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