Da Al-Jazeera
Timour Azhari
Beirut, 5 agosto 2020
È stato solo dopo una massiccia esplosione che si è abbattuta su Beirut che la maggior parte della gente in Libano ha saputo delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio immagazzinate in un hangar nel porto della città.
La detonazione del materiale – usato nelle bombe e nei fertilizzanti – ha inviato onde d’urto in tutti i quartieri della capitale libanese, uccidendo decine di persone, ferendone migliaia e lasciando gran parte della città un gran casino maciullato.
Per le conseguenze devastanti dell’esplosione, molti libanesi hanno espresso un immenso shock e tanta tristezza per la distruzione e una grande rabbia nei confronti di coloro che hanno permesso che ciò accadesse. L’analisi dei registri pubblici e dei documenti pubblicati online mostrano che gli alti funzionari libanesi sapevano da più di sei anni che il nitrato di ammonio era conservato nell’Hangar 12 del porto di Beirut. Ed erano ben consapevoli dei pericoli che comportava.
Decine di persone sono rimaste uccise. Ma cos’è accaduto esattamente? Ecco quello che sappiamo finora.
Il nitrato di ammonio è arrivato in Libano nel settembre 2013, a bordo di una nave cargo di proprietà russa battente bandiera moldava. La Rhosus, secondo le informazioni del sito di tracciamento delle navi, la Fleetmon, era diretta dalla Georgia al Mozambico. Secondo gli avvocati che rappresentano l’equipaggio della nave, il mercantile è stato costretto ad attraccare a Beirut per guasti che sono emersi durante la navigazione. Una volta riparati i danni i funzionari libanesi hanno impedito alla nave di salpare, così, alla fine, è stata abbandonata dai proprietari e dall’equipaggio. L’informazione è stata parzialmente confermata dalla Fleetmon.
Il carico pericoloso è stato quindi scaricato e collocato nell’Hangar 12 del porto di Beirut, una grande struttura grigia che si affaccia sulla principale autostrada nord-sud del Paese, all’ingresso principale della capitale.
Secondo documenti condivisi online, mesi dopo, il 27 giugno 2014, l’allora direttore della dogana libanese Shafik Merhi ha inviato una lettera indirizzata a un “giudice per le questioni urgenti” senza nome, chiedendo di trovare una soluzione per il carico pericoloso,.
Nei seguenti tre anni i funzionari doganali hanno inviato almeno altre cinque lettere – il 5 dicembre 2014, il 6 maggio 2015, il 20 maggio 2016, il 13 ottobre 2016 e il 27 ottobre 2017 – chiedendo istruzioni. Hanno proposto tre opzioni: Esportare il nitrato di ammonio, consegnarlo all’esercito libanese o venderlo alla Lebanese Explosives Company di proprietà privata.
Una lettera inviata nel 2016 notava che non c’era stata “nessuna risposta” da parte del giudice alle loro precedenti richieste.
E così è stato implorato di nuovo: “Considerato il grave pericolo di tenere stoccate questo materiale nell’hangar in condizioni climatiche non idonee, riaffermiamo la nostra richiesta di chiedere all’agenzia marittima di riesportare immediatamente queste merci per preservare la sicurezza del porto e di coloro che vi lavorano, o di esaminare la possibilità di accettare di vendere questa quantità” alla Lebanese Explosives Company. Anche in questo caso, non c’è stata alcuna risposta.
Un anno dopo, Badri Daher, il nuovo direttore dell’amministrazione doganale libanese, scrive ancora a un giudice. Nella lettera datata del 27 ottobre 2017, Daher lo esorta a prendere una decisione sulla questione, in considerazione “del pericolo… di lasciare questi beni nel posto in cui si trovano con possibile grave danno per coloro che vi lavorano”. Quasi tre anni dopo, il nitrato di ammonio era ancora nell’hangar.
Il primo ministro libanese Hassan Diab, martedì, ha dichiarato l’esplosione al porto un “grande disastro nazionale” e ha promesso che “tutti i responsabili di questa catastrofe ne pagheranno il prezzo”.
Il presidente libanese Michel Aoun ha definito “inaccettabile” il mancato trattamento del nitrato di ammonio e ha promesso la “punizione più dura” per i responsabili. Ora è stata avviata un’indagine, e la commissione deve riferire le sue conclusioni alla magistratura entro cinque giorni.
Mentre l’esplosione di martedì sembrava essere sbucata dal nulla, molti libanesi si sono affrettati a indicare quelle che ritengono essere le cause profonde: un’immensa cattiva gestione da parte di uno Stato distrutto, gestito da una classe politica corrotta che, secondo loro, tratta gli abitanti del Paese con disprezzo.
Alcuni abitanti di Beirut hanno sottolineato il fatto che questa tragedia sia avvenuta nel porto della città, un servizio pubblico conosciuto localmente come la “Grotta di Ali Baba e dei 40 ladroni”, per l’enorme quantità di fondi statali che sarebbero stati rubati nel corso di decenni.
Le critiche includono l’accusa che miliardi di dollari di entrate fiscali non siano mai arrivati all’erario perché funzionari corrotti sottovalutano il valore delle importazioni con documenti falsi e la sistematica e diffusa truffa usata per sdoganare i container senza pagare le tasse doganali.
“Beirut non c’è più e chi ha governato questo Paese negli ultimi decenni non può farla franca – ha commentato Rima Majed, un attivista politico e sociologo libanese, in un tweet -. Sono criminali e questo è probabilmente il più grande dei loro (troppi) crimini finora”.
Timour Azhari
per Aljazeera
BREAKIG NEWS/Una terribile esplosione a Beirut scuote la città: vittime incalcolabili