Cornelia I. Toelgyes
31 luglio 2020
Per il secondo anno consecutivo il Consiglio Norvegese per i rifugiati (NRC) ha denunciato che il conflitto che si sta consumando dal 2016 nelle due province anglofone del Camerun rientra tra le operazioni belliche meno conosciute e meno menzionate al mondo.
Eppure, secondo International Crisis Group con sede a Bruxelles (organizzazione non governativa, no-profit, transnazionale, fondata nel 1995, che svolge attività di ricerca sul campo in materia di conflitti violenti e avanza politiche per prevenire, mitigare o risolvere tali conflitti) dall’inizio degli scontri sono morte oltre 3.000 persone, altre 600.000 hanno lasciato le loro case e tre dei quattro milioni di cittadini delle due province colpite, necessitano di assistenza umanitaria.
I separatisti che vorrebbero trasformare le due regioni del Nord-ovest e del Sud-ovest in uno Stato autonomo chiamato “Ambazonia”, denunciano da anni la marginalizzazione del governo centrale e della maggioranza francofona.
Recentemente la Chiesa cattolica del Camerun si è nuovamente attivata per aprire un dialogo tra il governo e i separatisti; già in occasione del Dialogo Nazionale, che si è tenuto lo scorso ottobre a Yaoundé, la capitale del Paese, i rappresentanti ecclesiastici avevano svolto un ruolo importante.
Nel centro episcopale Mvolyé nella capitale camerunense si è tenuto un incontro il 2 luglio scorso tra gli emissari del governo e Sisiku Julius Ayuk Tabé, l’autoproclamato presidente dell’Ambazonia e alcuni dei suoi partigiani; per l’occasione i separatisti hanno potuto lasciare la prigione. Alla riunione era presente anche un testimone d’eccezione: l’arcivescovo di Butemba, capoluogo della provincia del Nord-Ovest.
Secondo alcune indiscrezioni sembra che questo non sia stato il primo incontro tra separatisti e rappresentanti di Yaoundé. I vari colloqui, volti a tastare il terreno per trovare punti d’intesa per poter aprire eventuali future negoziazioni, si sono svolti nella più assoluta riservatezza e pare che uno di questi si sia persino svolto a Accra, la capitale del Ghana.
Molti osservatori vedono di buon occhio l’iniziativa della Chiesa cattolica camerunense, in quanto le trattative tra il governo e i separatisti erano arrivate a una fase di stallo, perchè dopo oltre 10 mesi dal Dialogo Nazionale gli accordi presi stentano a essere messi in atto, come lo statuto speciale per le due regioni.
Il conflitto è in atto nelle due province anglofone dalla fine del 2016. Allora il presidente Biya aveva proclamato di voler spostare gli insegnanti francofoni nelle scuole anglofone. Ma, secondo un accordo sull’educazione scolastica del 1998, i due sotto-sistemi, quello anglofono e quello francofono, sarebbero dovuti restare indipendenti e autonomi.
Il Camerun ha dieci Regioni autonome, otto delle quali sono francofone. Solamente in due si parla l’inglese. All’inizio del ‘900 il Paese era una colonia tedesca. Dopo la prima guerra mondiale nel 1919, è stata divisa tra i francesi e gli inglesi, secondo il mandato della Lega delle Nazioni. La parte francese era molto più ampia e aveva come capitale Yaoundé, mentre quella inglese era stata annessa alla Nigeria, si estendeva fino al Lago Ciad e aveva per capitale Lagos. Gli inglesi erano poco presenti in questa regione, perché la loro attenzione era concentrata sui territori dell’attuale Nigeria.
Oltre alla grave crisi nelle zone anglofone, dal 2014 il Camerun deve affrontare anche i continui attacchi dei terroristi Boko Haram nella regione dell’Estremo Nord, al confine con la Nigeria. Le incursioni dei jihadisti hanno causato la morte di oltre 2.000 persone e costretto altre 250.000 a lasciare i propri villaggi per fuggire alle violenze dei miliziani.
In un suo recente rapporto Human Rights Watch ha evidenziato che a Mozogo, nella regione dell’Estremo-Nord, i militari del 42esimo battaglione di fanteria motorizzata, presenti per proteggere la popolazione dagli attacchi dei sanguinari jihadisti, costringono invece i residenti alla guardia notturna. Al mercato della città è stato affisso un elenco con i nomi di coloro che devono prestare servizio. La lista è stata stilata dai vertici del battaglione in collaborazione delle autorità locali. Da metà marzo a fine aprile i militari avevano persino picchiato e minacciato coloro che si erano rifiutati di partecipare alla ronda notturna.
L’organizzazione è stata informata che al momento attuale le violenze da parte dei soldati sono cessate; resta tuttavia in essere l’obbligo di collaborare con il contingente presente sul territorio. Un vero e proprio lavoro forzato, la popolazione teme che le percosse possano riprendere, visto che minacce in tal senso persistono. E HRW ha chiesto alle autorità di Yaoundé di aprire una indagine in tal senso.
Cornelia I. Toelgyes
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